Cristiano Rigon, cofondatore della piattaforma Gnammo, ascoltato in commissione a Montecitorio: “Il social eating è un’altra cosa, fuori dalle regole se sotto i 5.000 euro annui”
Mentre i taxisti di mezza Europa continuano a protestare contro il futuro isolando gli aeroporti francesi, bloccando la vita di centinaia di migliaia di persone e trovando solidarietà anche in Italia, associazioni di categoria, piattaforme e parlamento stanno compiendo un percorso ragionevole sulla regolamentazione del settore dell’home restaurant. O meglio, stanno ragionando, attraverso una serie di audizioni preparatorie e integrative alla proposta di legge sul tema firmata dal giovane deputato Pd Enzo Lattuca.
Lo scenario
Un recente studio di Confesercenti ha d’altronde portato alla luce i contorni di un fenomeno che inizia a radicarsi profondamente. Quello di organizzare pranzi o cene in casa propria dietro compenso. Sarebbero 7mila i cuochi sociali nostrani che, nel 2014, avrebbero organizzato 37mila eventi per 7,2 milioni di euro di incassi (forse è sbagliato battezzarli fatturati) ricevuti da 300mila partecipanti. La cifra media per singola serata sfiorerebbe i 200 euro. Gnammo, una delle piattaforme di social eating più diffuse e cliccate d’Italia, è stata coinvolta dalle audizioni in corso alla decima commissione di Montecitorio, quella dedicata ad Attività produttive, commercio e turismo. Da sempre la linea della creatura guidata da Gian Luca Ranno è chiara: occorre una distinzione precisa fra social eating e home restaurant.
La proposta di Gnammo
Da una parte ci sono eventi saltuari, dall’altra una sorta di organizzazione continua. Il discrimine, ha detto ieri uno dei cofondatori della piattaforma, Cristiano Rigon, ai parlamentari, non può che essere il numero di pasti organizzati e la cifra incassata: “L’incontro con la commissione, per cui ringraziamo il presidente onorevole Guglielmo Epifani, i vicepresidenti e tutti i componenti, è stato un momento di confronto lungo e costruttivo, nell’ottica di valorizzare e regolare un’opportunità di sviluppo – ha dichiarato Rigon – particolare è stato l’interesse dell’onorevole Angelo Senaldi, promotore della risoluzione 7/00824 che era in discussione, dimostrato anche dai membri della commissione presenti, verso la differenziazione che Gnammo propone tra le attività di social eating, in cui un soggetto propone eventi culinari nella propria abitazione, occasionalmente senza organizzazione d’impresa rivolta al pubblico, dal caso in cui la stessa attività sia organizzata regolarmente o, comunque, con un’impresa rivolta al pubblico, l’home restaurant”.
Il social eating diventa home restaurant sopra gli otto eventi al mese e i 5.000 euro d’incassi
Ma qual è nel dettaglio la proposta di Gnammo, attivatasi subito dopo il controverso parare del ministero dello Sviluppo della scorsa estate? Risponde ancora Rigon riportando le parole pronunciate in oltre un’ora di audizione: “Gnammo propone alla commissione di valutare e porre dei confini numerici tra dove finisce il social eating e inizia l’home restaurant, che possono essere identificati in 8 eventi nel mese, oppure 30 in un anno, e in ogni caso entro un transato di 5.000 euro anno. Oltre questi limiti riteniamo che il cuoco abbia una finalità che va oltre la convivialità e quindi siano necessarie norme di regolamentazione quali una segnalazione certificata d’inizio attività semplificata e unica a livello nazionale, la formazione dei cuochi secondo precisi contenuti relativi ad Haccp e sicurezza alimentare e la redazione di un manuale, anche se relativo a una struttura domestica, di autocontrollo Haccp”.
La posizione delle associazioni di categoria
Insomma, l’approccio di questo specifico settore della sharing economy è molto diverso rispetto, per esempio, al muro contro muro che contrappone Uber e simili ai taxisti o Aibnb e affini alle catene alberghiere e alle istituzioni locali. Lo si deve anche all’approccio minimamente diverso delle associazioni di categoria dei ristoratori, ascoltate anche loro in commissione, che pure assumendo posizioni estremamente severe sul tema hanno accettato di prendere parte alla discussione. Non è poco. In alcuni casi – come quello di Confcommercio-Fipet – sembra anche di leggere fra le righe delle memorie delle proprie audizioni la disponibilità a “salvare” dalle infinite incombenze burocratiche e di sicurezza alimentare quelle “occasioni di puro intrattenimento” di cui Gnammo & co. fanno il loro business. Chiusura totale, invece, da Fipe, dai consumatori di Udicon e Unione nazionale consumatori sugli home restaurant.
Salvare l’aspetto social
La questione, sostengono però da Gnammo, è non buttare l’host privato, che magari organizza una cena al mese ricavandone poco più che un rimborso sulla spesa, con l’acqua sporca di un ristorante abusivo. La sfida si concentra insomma tutta intorno alla salvaguardia dell’aspetto più sociale e spontaneo di iniziative simili – da People Cooks a Vizeat passando per Newgusto – per separarle nettamente da chi trasforma casa propria in un locale. Anzi, da chi ha anche sfruttato in questi mesi il Far West legislativo (e la montante moda dei pasti casuali in compagnia) come pretesto per aprire un luogo di ristorazione a tutti gli effetti. Ma fuori da ogni regola.