Già disponibile in 3mila ristoranti del Paese (e di Hong Kong), il prodotto riceve il via libera definitivo dalla potente authority a stelle e strisce: inizia l’era della neocarne
Di Impossible Foods ne abbiamo parlato un sacco nel corso degli ultimi cinque anni. Si tratta della startup californiana specializzata nell’ormai celeberrimo burger senza carne. Cioè prodotto attraverso l’eme, un complesso chimico che contiene un atomo di ferro, parte integrante dell’emoglobina, responsabile di portare l’ossigeno attraverso il sistema circolatorio animale e di far funzionare il sistema linfatico vegetale. L’eme è presente anche in molti vegetali ed è proprio da essi – nello specifico, dalle radici della soia – che la società del biologo e fisico 62enne Patrick Brown la estrae. Per inciso, in passato aveva anche tentato di coltivarla tramite i lieviti. In ogni caso, chi l’ha assaggiata assicura che sa di manzo eccome quel non-burger.
Disco verde dall’autorità Usa
Gustoso o meno, da diverso tempo Impossible Foods era sostanzialmente limitata nella sua azione dalla potente Food and Drugs Administration statunitense, l’autorità per i farmaci e la vigilanza sui cibi. Adesso l’authority ha finalmente dato il via libera al prodotto, riconoscendono come “generally recognized as safe”: insomma, il burger di eme non fa male. E può essere commercializzato su larga scala.
Il dubbio nasceva proprio dagli elementi di base: il sostituto della carne, così realizzato, avrebbe potuto scatenare allergie o altri effetti collaterali. O meglio: era necessario approfondire proprio perché questo genere di prodotti non sono diffusi, almeno sul mercato USA. Il gruppo, che esattamente un anno fa aveva chiuso un mostruoso round di finanziamento da 75 milioni di dollari, ha così fornito ulteriori studi e informazioni, inclusi i risultati su un test effettuato sui topi, che hanno convinto l’agenzia federale ad accendere il disco verde per il consumo umano. Parte ufficialmente l’epoca dei non-burger che hanno lo stesso sapore dei burger veri.
Non un qualsiasi burger vegetale
Attenzione: di burger vegetali ne abbiamo a tonnellate in circolazione, in questo caso si parla di un prodotto uguale alla carne nell’estetica e nel gusto ma non ricavato da allevamento animale. Il punto di svolta è questo. Ed ha evidentemente un retroterra legato alla sostenibilità: per produrre un Impossible Burger ci vuole il 75% in meno di acqua e il 95% in meno del terreno utilizzato dagli allevamenti con conseguenze in termini di gas serra ridotte dell’87%. Senza contare che non occorrono ormoni, antibiotici o artifici vari per il sapore.
Ci sono molti buoni motivi, dunque, per scegliere il burger di fatto già disponibile in 3mila ristoranti negli Stati Uniti – in catene come Hopdoddy, Umami Burger, Fatburger, The Counter, BSpot e White Castle) – e a Hong Kong. C’è da scommettere che la lettera della Food and Drugs Administration metterà il turbo al gruppo di Brown.