Chi sono i rider di Foodora? Abbiamo parlato con uno di loro. Ci ha raccontato la sua storia. Il suo lavoro. Le difficoltà, e quel bisogno di arrotondare che diventa un lavoro vero
Ha 34 anni. E’ piemontese. E’ il titolare di una libreria che non se la passa granché bene. Sposato, un affitto e un diploma in Grafica e Pubblicità nel 2004 all’Albe Steiner di Torino. Per arrotondare (anzi «per sopravvivere», date le condizioni in cui versa la sua attività. Va per mercatini a vendere libri) ha iniziato a lavorare come rider per Foodora. 20 chilometri al giorno in bicicletta per consegnare cibo a domicilio. Ne guadagna quando va bene una decina di euro. Meno di 50 centesimi a chilometro.
Come lui ce ne sono tanti. La maggior parte dei 100 rider di Foodora a Torino sono o studenti universitari, o lavoratori precari. O gente che ha davvero bisogno di arrotondare.
Lavora a Foodora dalla fine di settembre. Non è molto tempo. Ma abbastanza per «rimanere deluso» e per chiedere di non essere citato. Lo chiameremo Marco, che è un nome di fantasia. C’è anche lui nel gruppo di «una cinquantina» dei riders di Foodora in agitazione a Torino. Divisa, borsa rosa e, aggiungiamo noi, tanti mugugni. I colleghi di lavoro più anziani hanno visto scendere la loro paga a 5,60 euro lordi a consegna, a 2,70 euro netti a consegna. Lui ha accettato queste condizioni.
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«Durante il colloquio – racconta – mi è stato prospettato di fare almeno due consegne l’ora. Mi sono fatto due calcoli e ho accettato». Sarebbero stati 5 euro l’ora. Dopo la prima settimana però qualcosa è cambiato nella frequenza delle consegne, che si è abbassata notevolmente. «Mi ha deluso la possibilità di poter lavorare, che in breve tempo è diventata pressoché inesistente». Nonostante questo, il lavoro non si molla. «Io e gli altri della protesta non abbiamo smesso di lavorare. Non è un blocco per capirsi. Ci siamo mantenuti disponibili».
La necessità di sbarcare il lunario
Marco ha aderito alla protesta. Ma non mostra rabbia nei confronti dell’azienda. Lui vuole continuare a lavorare. Ma si oppone al gioco al ribasso dei compensi.
«Lavoro con Foodora da un mesetto, ma mi sono unito alla protesta per un motivo ben preciso: fin dall’inizio ho prenotato tutti i turni serali dal sabato alla domenica successiva. Ho lavorato senza problemi. Tutto sommato i presupposti erano buoni». Dalla seconda settimana di lavoro, parliamo quindi dei primi di ottobre, «ho iniziato ad avere la metà delle consegne, nonostante abbia continuato a prenotare dal sabato alla domenica, l’intera settimana. Ho bisogno di lavorare, non ho bisogno di giorni di pausa». Insomma dalla seconda settimana «su 7 giorni me ne sono stati dati 4».
Una situazione in rapido cambiamento
La protesta dei riders di Foodora è partita “ufficialmente” venerdì 7 ottobre. Ed è montata su un gruppo Whatsapp. «Dove con i colleghi ci sentivamo per risolvere guasti alle bici o mancanza di materiale. Dove insomma ci diamo una mano – racconta – ci siamo messi d’accordo per fare il punto della situazione».
Una situazione in cambiamento, rapido. I colleghi del nostro rider infatti hanno un contratto da «5,60 euro lordi l’ora» che «alla fine di novembre verrà sostituito da uno da poco più di 3 euro lordi a consegna, circa 2,70-2,80 netti». Quello che insomma non va giù al nostro rider è che è cambiata la frequenza dei turni.
«Nell’ultima settimana ho lavorato 2 ore e mezza. Mantengo un rapporto di lavoro che “non esiste”». Non solo c’è «una condizione del contratto che parla del raggiungimento di una somma minima di pagamento per ottenere il bonifico. Non superando quella somma non si ha diritto alla paga».
Come avviene la comunicazione con l’azienda
E la comunicazione? Che aria tirava e tira in azienda? «I primi giorni dopo il colloquio era stupendo. Queste realtà hanno un piglio particolare. Poi sono iniziati i problemi – ha aggiunto il nostro rider – con il taglio dei turni, ma anche eliminati all’ultimo momento, venivamo avvisati che il turno finiva mezzora prima e che potevamo andarcene a casa».