Ne parliamo nella sesta diretta di “LIFE – La salute che verrà”, martedì 17 novembre alle ore 16.00
Secondo i più recenti dati del ministero della Salute, il 67% del personale del Servizio sanitario nazionale (SSN) è composto da donne, contro il 33% di uomini. Un dato che probabilmente è saltato all’occhio anche durante la pandemia di Covid-19, dove le donne sono state in prima linea per affrontare l’emergenza. Di contro però è emersa molto chiaramente anche la loro assenza ai tavoli decisionali per contrastare le infezioni da Sars-Cov2.
Dal comitato tecnico scientifico della protezione civile composto da soli uomini. Alle task-force istituite dal Presidente del Consiglio e affidate a Vittorio Colao per la ricostruzione del Paese in risposta alla pandemia, che vedeva solo 4 donne su 17 rappresentanti. Tanto che numerose scienziate, parlamentari, giornaliste e cittadine hanno dato vita alla petizione #datecivoce ripresa dai media italiani ed esteri, che ha spinto il Premier Giuseppe Conte ad inserire ulteriori quattro donne nella task force e tre donne nel comitato tecnico-scientifico.
Scoperchiare il vaso di pandora
Un lieto fine come potrebbe pensare qualcuno ma che lascia l’amaro in bocca, come scrive su naspread Camilla Gaiaschi giornalista e sociologa del dipartimento di Scienze politiche e sociali alla Statale di Milano, dove collabora con il Centro di ricerca Genders, perché “l’emergenza non ha fatto che scoperchiare, esacerbandolo, lo stato dell’arte, mettendo in luce le esistenti asimmetrie di genere all’interno del mercato del lavoro e nelle professioni scientifiche più in particolare”.
Sono molti gli esperti a sostenere che lo tsunami legato alla pandemia non abbia fatto altro che incrementate le disuguaglianze economiche, sociali, professionali già esistenti. Anche sul fronte della ricerca clinica e scientifica, dove a parte qualche eccezione, il dominio sembra ancora prevalentemente maschile.
Raggiungere l’eguaglianza entro 2030
Da noi la percentuale delle donne che occupano posizioni tecnico scientifiche è tra le più basse dei paesi OCSE (31,7% contro il 68,9% degli uomini). Così anche negli Stati Uniti, dove le donne che lavorano in ambito scientifico si attestano al 24% contro il 76% degli uomini. In Italia la ricerca nel 36% dei casi è declinata al femminile. Lo certifica l’Annuario Scienza e Tecnologia di Observa Science in Society. Ma “raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze” è il quinto dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sottoscritta nel 2015 dai governi di 193 Paesi membri dell’Onu.
Il “gender pay gap”
Insomma come già noto anche dal passato, le donne si laureano prima con voti anche migliori, ma solo poche ricoprono posizioni di prestigio o responsabilità. E sono pagate meno rispetto ai colleghi uomini. I dati eurostat del 2018 mostrano che il “gender pay gap” nell’Europa dei 27 si attestava in media intorno ai 14,8% di differenza tra la retribuzione oraria lorda media dei dipendenti uomini e donne (dati Italia, riferiti al 2017, 5%). Mentre secondo il rapporto della Commissione Europea She Figures le donne impegnate in R&S guadagnano in media il 17% in meno rispetto ai loro colleghi uomini in tutta l’UE-28. E il divario retributivo di genere si è ampliato con l’età.
Le ragioni del divario
Le ragioni del divario retributivo di genere vanno oltre il semplice problema della discriminazione. Sono una conseguenza di varie disuguaglianze che le donne devono affrontare nell’accesso al lavoro, nella progressione e nei premi.
Per esempio circa il 30% del divario retributivo di genere è spiegato dalla sovra rappresentazione delle donne in settori relativamente poco remunerativi, come l’assistenza e l’istruzione. D’altra parte, la percentuale di dipendenti maschi è molto alta (oltre l’80%) nei settori meglio retribuiti, come la scienza, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica (STEM).
Le donne poi, effettuano in media meno ore di lavoro retribuito rispetto agli uomini, ma più ore di lavoro non retribuito. Motivo per cui l’UE promuove una condivisione più equa dei congedi parentali. Un’adeguata fornitura pubblica di servizi di custodia dei bambini. E adeguate politiche aziendali in materia di orari di lavoro flessibili.
Ancora, la posizione ricoperta: meno del 10% degli amministratori delegati delle principali aziende sono donne. E infine la discriminazione: in alcuni casi, le donne guadagnano meno degli uomini per svolgere lavori di pari valore.
La diretta di LIFE: “La ricerca clinica e scientifica declinata al femminile: a che punto siamo”
Ne parleremo nella sesta diretta di “LIFE – La salute che verrà”, che si terrà martedì 17 novembre alle ore 16.00 (qui per seguire). Introdurrà l’evento Mario Merlo General Manager di Sanofi Pasteur. Tra i partecipanti: Gabriella Greison, fisica scrittrice e performer teatrale, Roberta Villa, giornalista scientifica, Camilla Gaiaschi, giornalista e sociologa del dipartimento di Scienze politiche e sociali alla Statale di Milano, dove collabora con il Centro di ricerca Genders,Francesca Trippi, Medical advisor Sanofi Pasteur, Anna Odone, Professoressa ordinaria di Igiene, presso l’Università di Pavia e Betta Maggio, CEO and founder at U-earth Biotechnologies. Moderano Giampaolo Colletti e Anna Gaudenzi, accompagnati dalle elaborazioni grafiche della visual designer Irene Coletto.