Gli Anni 90 rivivono su Nintendo Switch con un classico vestito a festa per l’occasione
Stranger Things ha dimostrato che il mondo ha fame di Anni 80. Ma, aggiungiamo noi, c’è parecchia voglia anche di ciò che ha caratterizzato la decade successiva. E quando si pensa al 1990 si pensa inevitabilmente al Game Boy, la console portatile di Nintendo che con le sue tonalità di colori che andavano dal grigio al verde e le grafiche impastate ha contribuito alla perdita di diottrie per milioni di ragazzi (incluso chi scrive), più di quanto non abbia fatto il perfido Rocci durante le verifiche di Greco. E il Game Boy, prima di essere la casa di indiavolate sfide tra allenatori di Pokémon, è stato soprattutto Super Mario Land e The Legend of Zelda A Link’s Awakening.
Uno Zelda senza Zelda
All’epoca (parliamo del 1993), The Legend of Zelda A Link’s Awakening, era davvero un videogioco leggendario. Dimostrava infatti che il piccolo Game Boy poteva far girare la sua versione di quel capolavoro di The Legend of Zelda – A Link to the Past uscito due anni prima su Super Nintendo. Parliamo di un gioco che aveva fatto impazzire milioni di videogiocatori e che sembrava non replicabile, soprattutto in versione handheld. Certo, A Link’s Awakening non aveva quella grafica tondeggiante e colorata che caratterizzò l’epopea dell’eroe di Hyrule, a ben vedere mancava persino Zelda visto che era ambientato su un’isoletta lontana dal reame, ma riusciva comunque a immergere il giocatore in un mondo onirico.
Twin Peaks in scala di grigi
Un mondo onirico ma anche inquietante. E qui bisogna davvero riesumare dalla soffitta il contesto dell’epoca perché Nintendo in più occasioni ha ammesso che i personaggi con cui il giocatore doveva avere a che fare per procedere con l’avventura prendevano ispirazione da un altro classico degli Anni 90: la serie televisiva di David Lynch, Twin Peaks.
Naturalmente sull’isola di Koholint non avvengono misteriosi omicidi, ma questo non significa che i figuri all’epoca composti da sprite di pochi pixel non fossero particolarmente inquietanti.
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Tra commercianti pronti a lavare col sangue piccoli furtarelli, omoni paffuti e baffuti appassionati di funghi, signore che perdevano la testa per bizzarri animali di metallo (i Categnacci di Super Mario…), il giocatore che accendeva il Game Boy appena salito sull’autobus rischiava di perdere la propria fermata e ritrovarsi al capolinea, tanto quel piccolo universo (era davvero uno Zelda in dimensioni ridotte, anche per via delle cartucce dell’epoca) era avvolgente.
La leggenda rivive oggi su Switch
Accadeva all’epoca a chi oggi ha più di 30 anni (tra cui, appunto, il sottoscritto), continuerà ad accadere a chi oggi ha più di 30 anni (ormai si sarà capito, anche al sottoscritto) e accadrà per la prima volta anche ai più giovani, dato che quel piccolo grande classico per Game Boy ora rivive su Nintendo Switch (qui il sito ufficiale).
Un videogioco in Tilt Shift
E lo fa nel migliore dei modi, con una grafica che riproduce le fattezze di un piccolo, colorato, plasticoso diorama. Avete presente il Tilt Shift? Si tratta di una tecnica di ripresa che, giocando con le sfocature, distorce la prospettiva e fa apparire interi scenari in modo giocattoloso. Ecco, Nintendo l’ha presa in prestito e trasformata in un effetto grafico. L’isola che fa da sfondo alle nostre improbabili avventure sembra un modellino. Lo stesso Link, più che l’eroe di mille leggende, pare un personaggio Playmobil.
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Quando ero giovane io, qui, era tutta campagna…
In questo modo si giustifica a chi non ha mai giocato all’originale perché questo capitolo sia tanto differente (graficamente e non solo) dall’ultimo episodio, The Legend of Zelda – Breath of the Wild. È un giocattolo, una leggenda mignon. Interamente rifatta in gloriosi toni orchestrali, invece, la colonna sonora.
In realtà A Link’s Awakening è e resta un gioco del 1993 e questo vuol dire che, sebbene qua e là Nintendo sia intervenuta per addolcire alcuni aspetti, il giocatore del 2019 potrebbe trovarlo ogni tanto irsuto e spigoloso.
Trama ridotta al minimo (benché avvolgente e con un finale in grado di strappare una lacrimuccia), giocabilità a tratti ripetitiva, la costante sensazione di essere abbandonati a noi stessi e di non trovare suggerimenti in ciò che dicono i personaggi. Può capitare di non sapere dove andare. Abituati come siamo ai giochi odierni, che ci prendono per mano e ci conducono lungo tutta l’avventura, in questo Zelda che visse due volte (su Switch e su Game Boy) può capitare di restare bloccati e di pensare “certo che avrebbero potuto inserire un cartello, un indizio, un suggerimento”…
Ma questo è anche il bello di rivivere una decade ormai superata, di aver rispolverato un classico degli Anni 90. Certo, qua e là gli sviluppatori sarebbero dovuti intervenire (per esempio, ogni tanto i nemici, una volta uccisi, lasciano cadere power up che, immancabilmente, se raccolti, interrompono il gioco con alcune stringhe testuali per spiegarne i poteri: ok la prima volta, ma perché ripeterle anche dopo dieci ore di gioco?), ma in generale il lavoro di recupero è apprezzabile. Non è mai facile, del resto, giocare con i ricordi della gente, figurarsi quando si tratta di avventure leggendarie e si può dire che Nintendo sia riuscita a riproporre nel migliore dei modi un classico che – forse – non sarà sempreverde come la tunica di Link ma che riuscirà comunque a commuovere soprattutto chi l’ha vissuto all’epoca girando in tondo su di un autobus dal quale si era dimenticato di scendere…