La riforma europea del copyright desta sempre più preoccupazioni, e anche le startup rischiano un danno. Votato il filtro dei contenuti caricati online
La prima settimana di luglio è stata anche l’ultima del Parlamento Europeo prima delle vacanze estive. Tanti i file sul tavolo, in primis la tormentata riforma del copyright, che ha visto il dibattito in Commissione JURI e il voto in Commissione ITRE e CULT, con risultati poco incoraggianti, anche per le startup del settore.
Un Parlamento diviso sul tema
Questa riforma sta assumendo la veste di una telenovela, con sparizioni, litigi, divisioni. Nelle ultime settimane infatti, sono successe diverse cose. In primo luogo, Therese Comodini Cachia (PPE), l’europarlamentare che era titolare del fascicolo per il Parlamento, ha lasciato il seggio di Bruxelles perché eletta al parlamento maltese. Questo ha scompigliato le carte perché il suo ruolo, quello di Rapporteur, era di trovare una posizione comune tra i vari gruppi parlamentari, da presentare al momento finale dell’iter legislativo, quando Parlamento, Commissione Europea e Consiglio dell’Unione Europea (formato dai capi di Stato e di Governo dei 28 PAesei Membri) si riuniscono per deliberare e dare il via libero alla legge. Il suo successore è il collega Alex Voss (PPE), che pare molto più vicino alla posizione della Commissione Europea che a quella della Comodini. Durante l’audizione presso la Commissione JURI (Affari legali), Voss ha espresso il suo appoggio verso la proposta della Commissione Europea di riconoscere un nuovo diritto agli editori di notizie (art. 11), di non voler estendere l’eccezione per l’estrazione di testo e dati prevista al momento solo per gli istituti di ricerca (art. 3), e di obbligare le piattaforme come i social network a filtrare i contenuti caricati per verificare che non violino il copyright (art. 13). In pochi minuti, gli sforzi degli ultimi mesi della sua collega maltese di trovare una posizione di compromesso, sono svaniti come neve al sole.
I Pirati e i 5 Stelle
Il Parlamento è diviso su questo tema, e lo si capisce sia dal numero di emendamenti proposti (quasi 700), sia dal fatto che anche all’interno dei due principali gruppi parlamentari, Partito Polare Europeo (PPE) e Socialdemocratici (S&D), manca una posizione comune. In Commissione Parlamentare JURI la pirata tedesca Julia Reda ha sottolineato come il mondo accademico e quello delle startup abbiano bocciato l’adozione degli artt. 11 e 13. L’art 11 vorrebbe i giornali contrattare assieme con le grandi piattaforme come Facebook per ricevere una remunerazione in cambio del permesso di poter pubblicare i link ai loro articoli. Norma giù adottata in Spagna e Germania, con esiti disastrosi e calo di traffico quando Google ha deciso di non pagare e di chiudere il servizio Google News Spagna. L’art. 13 vuole che le piattaforme filtrino i contenuti caricati, con il risultato di creare un grande fratello su quanto caricato dagli utenti, e l’obbligo per le startup di investire moltissimo capitale nell’adozione di questa tecnologia, lasciando il campo libero solo a chi se lo può permettere (v. alla voce Google e Facebook). Oltretutto la Corte di Giustizia Europea ha già sancito il divieto di monitoraggio indiscriminato dei contenuti. Alla Reda ha fatto eco Isabella Adinolfi (Movimento5Stelle) che sull’art. 3 ha chiesto l’allargamento delle eccezioni per il text and data mining. Come già spiegato su queste pagine, un allargamento di quest’eccezione permetterebbe, non solo a università e centri di ricerca ma anche a realtà private, di creare nuovi modelli (vedi alla voce Intelligenza Artificiale), fondati sull’analisi dei dati, senza passare dalle maglie del diritto d’autore.
Niente più musica e film sul cloud
Anche peggio sono andati i voti sui report finali delle commissioni ITRE (Industria, Ricerca ed Energia) e CULT (Educazione e cultura) che hanno avuto esiti a dir poco preoccupanti. Come messo in luce da Joe McNamee, executive director di EDRi (European Digital Rights), la Commissione CULT ha addirittura peggiorato il testo originale, imponendo un obbligo di controllo dei contenuti anche per le piattaforme di Cloud. Insomma, non si potranno caricare contenuti coperti da diritto d’autore (musica, video, film), anche se acquistati legalmente, a meno che le piattaforme di cloud non abbiano adottato dei filtri che controllino eventuale violazione del copyright dei contenuti caricati. Si ricordi che in Europa ogni utente è già tenuto a pagare una piccola tassa “anti pirateria” ogni volta che acquista un computer, uno smartphone, una chiavetta USB, come indennità ai detentori dei diritti d’autore, anche se non intende usare i device acquistati per condividere o scaricare contenuto illegale. Diciamo un risarcimento anticipato basato sulla probabilità che prima o poi l’utente lo farà.
La Commissione CULT, votando per avere un controllo dei contenuti, andrà a minare startup come Soundcloud, che già sta navigando in cattive acque, la cui senior policy manager ha detto che Soundcloud non sarebbe mai esistita se questa legge fosse stata vigente quando hanno cominciato. La commissione ITRE dal canto suo ha votato per l’applicazione della link tax anche alle pubblicazioni accademiche, con buona pace della disseminaizone della ricerca e della circolazione del sapere.
Prossime tappe
La strada è tutta in salita per questa riforma ma ancora resta un po’ di tempo per correggere il tiro. Le Commissioni che devono ancora votare sono LIBE, il 25 settembre, e JURI, il 10 ottobre. Poi si andrà a discuterne con la Commissione Europea e il Consiglio. Se l’estate non è mai troppo calda a Bruxelles, l’autunno lo sarà di certo.
Per approfondimenti:
Julia Reda, EU Copyright Reform, European Digital Rights, Emendamenti CULT