L’invito di Cingolani ai ragazzi di postare un po’ meno per salvare il pianeta fa discutere. Ma quanto c’è di vero nelle parole del ministro della Transizione ecologica?
Una mail, un video su Youtube, un film in streaming, perfino la foto del vostro presepio appena pubblicata su Instagram: sono tutte azioni che, a sorpresa, hanno un impatto negativo sulla sostenibilità ambientale. E più cresce la platea dei connessi (o, per meglio dire, dei perennemente connessi), più Internet inquina. Ormai il Web è la quarta nazione al mondo in termini di consumo energetico ed emissione di CO2, dopo Cina, Stati Uniti e India. Parliamo di 1.850 milioni di tonnellate di CO2 in un anno, stando ai dati del Global Carbon Project. Pure i social, che usiamo con disinvoltura pubblicando senza freni (e senza pensare), inquinano.
Cingolani contro i social: inquinano
Lo sapevamo già, ma sul tema è tornato il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, incontrando virtualmente più di 17mila giovani, studentesse e studenti delle scuole superiori per parlare di ambiente e sostenibilità nell’ambito del progetto Cosmopolites: “L’intero traffico aereo produce il 2% della CO2 globale, mentre quello digitale ben il 4%”. Per questo il ministro, che nelle scorse settimane aveva attirato critiche dicendo che a scuola si studia troppa storia e poche materie tecniche, ha invitato i giovani a risparmiarsi qualche post sui social, per inquinare meno. Perché, appunto, pure i social inquinano e allora anche queste semplici azioni, ha detto Cingolani, potrebbero aiutare “il ministero della transizione ecologica” a perseguire il “piano che consenta di fare la transizione ecologica”. Ricordando che “c’è da sviluppare modelli” cui attenersi.
I siti istituzionali che inquinano di più
E il ministro potrebbe avere ragione. Secondo una ricerca Avantgrade per conto di SkyTG24, per esempio, i siti web delle istituzioni italiane producono ogni anno un numero piuttosto elevato di kg di CO2. 558 il Senato, che supera del 191% la mediana del consumo delle pagine web mondiali, 312 il Governo e 249 la Camera dei Deputati. Se la cavano meglio, al confronto, le istituzioni europee: la pagina Web dell’Unione Europea produce solo 80kg di emissioni di CO2 all’anno (il 58% in meno rispetto alla mediana mondiale), mentre quella del Parlamento Europeo ne produce 92 kg (-52%).
L’impatto dello smart working
Non solo il sollazzo inquina. Anche lo smart working, che abbiamo imparato a conoscere nostro malgrado nella pandemia, non è poi così green, sebbene permetta di risparmiare un bel po’ di tonnellate di CO2 immesse nell’atmosfera dai veicoli privati usati per andare al lavoro. Secondo una recente ricerca condotta dalla Purdue University, una università pubblica dello stato dell’Indiana, e dalle più note Yale University e Massachusetts Institute of Technology ripresa da Deutsche Bank, un’ora di videoconferenza emette circa 150 grammi di anidride carbonica. Che salgono a 450 se si guarda per un’ora un film in streaming su piattaforme come Netflix o Prime Video.
Non solo. “Per ogni gigabyte di dati utilizzati su internet (per esempio, su YouTube, Zoom, facebook e Instagram), si consumano anche dai 2 ai 12 litri di acqua, necessaria per raffreddare i data center, cioè quei macchinari che immagazzinano i dati e che, producendo calore, si surriscaldano facilmente. Si stima che, nel 2030, il 13% dell’elettricità complessiva prodotta sarà assorbita proprio dai data center e che, da soli, saranno responsabili del 6% delle emissioni totali di anidride carbonica”.
Quanto inquinano le big del tech?
Partendo dal presupposto che un solo server produce in un anno da 1 a 5 tonnellate di CO2 equivalente, e ogni gigabyte scambiato su internet emette da 28 a 63 g di CO2 equivalente, non sappiamo se vogliamo davvero sapere quanto inquinino i colossi della Rete, che per lavorare hanno milioni di server sempre collegati. Secondo un Dataroom di Milena Gabanelli: “Delle big tech la più inquinante è Amazon: nel 2020 ha emesso 54.659.000 di tonnellate di CO2 (però include anche il trasporto pacchi), seguono Samsung con 29 milioni, e Apple con 22 milioni. Tra le multinazionali 100% web la peggiore è Google con 12,5 milioni di tonnellate di CO2. Segue Microsoft con 11,5 milioni, in terza posizione Facebook con 4 milioni”.
La responsabilità delle aziende digital dunque è fondamentale. Ogni anno CDP stila una lista, nella sezione Climate Change, sulle realtà maggiormente attente all’ambiente. Sono duecento e vanno da Danone a L’Oréal. Tra le italiane, per il quinto anno di seguito, troviamo Sopra Steria, attiva nella consulenza, nei servizi digitali e nello sviluppo di software, il cui amministratore delegato, Stefania Pompili, era tra le speaker del Corner Unstoppable Woman dello StartupItalia Open Summit di ieri dove ha parlato non solo di inclusione ma anche della necessità di arrivare alla ‘sobrietà digitale’, essenziale – ha dichiarato “per impegnarsi in un percorso di tutela dell’ambiente più incisivo”.