Un videogioco sviluppato da una sola persona capace di metterci faccia a faccia con ciò che ci rende umani (e forse per questo ci spaventa)
Una famiglia disgregata, un ragazzo introverso, che oltre ad avere perso sua madre in modo tragico e alla pena di dover vivere con un padre assente, porta sempre ben calcata sulla faccia una maschera inquietante e sembra risucchiato dal gorgo della depressione, che non gli permette di comprendere quanto di ciò che vive sia reale o no. È difficile spiegare Sally Face senza spoilerare i suoi contenuti. Ed è difficile illustrare Sally Face senza descrivere con l’accuratezza del gioco le molteplici situazioni assurde e la miriade di personaggi semplicemente folli che vi ritroverete davanti.
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Sally Face è il risultato del lavoro di un unico sviluppatore, Steve Gabry, che del gioco ha curato non solo l’incredibile comparto grafico, che si compone di disegni realizzati a mano, ma anche la sinossi, gli enigmi, le meccaniche ludiche e pure le musiche (di gran effetto).
L’intera avventura grafica, costellata di dialoghi farneticanti, personaggi allucinanti ed enigmi semplicemente folli è permeata da un incredibile senso di inquietudine e angoscia. Sarebbe sbagliato definire Sally Face un horror. Ma riesce benissimo a ricreare una sensazione di disagio che vi rimarrà sotto la pelle. Gli episodi sono “micro”: durano poco e sono molto più corti di quanto si vorrebbe (il primo e il quinto li si finisce in un quarto d’ora), ma riescono comunque a giocare con le vostre paure e a mettere in campo un buon numero di situazioni “malate”.
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E la malattia è proprio il paradigma di Sally Face. La chiave per veder schiudere il tragico passato del giovane Sal Fisher, alias “Sally Face” per via della sua maschera, mentre tutto solo risolve misteri via via sempre più inquietanti. Si cammina nelle paure, nelle fobie irrazionali, nell’angoscia e nella depressione, ma si prova pure ad attribuire loro un senso logico.
Oscuro, buio e inquietante come Twin Peaks, Sally Face abbonda di richiami e sfottò agli Anni ’90. La trama si complica a mano a mano che si procede con l’avventura (comunque piuttosto breve), così come divengono via via più complessi gli enigmi e i minigame (il quinto capitolo probabilmente abbonda pure).
Nel suo complesso un’opera straniante e destabilizzante, che tutti coloro che amano le avventure grafiche e la psicologia dovrebbero provare. E più non vi diciamo perché Sally Face non va raccontato ma vissuto in prima persona. Auguriamo a Steve Gabry di poter strutturare, grazie agli incassi di questo suo primissimo videogame, la sua startup innovativa, Portable Moose, perché siamo ansiosi di giocare ad altri suoi titoli.