Una startup di sviluppatori e designer, nata per assistere giornalisti e scrittori. Google e Microsoft competono sul motore di ricerca del futuro. Dall’Italia una proposta per non aver paura dell’intelligenza artificiale
“Mentre ChatGPT è stato addestrato per rispondere alle domande degli utenti e fornire informazioni accurate, Storykube si concentra sulle storie e sul loro potere di coinvolgimento. L’obiettivo di Storykube non è quello di sostituire gli scrittori umani, ma piuttosto di aiutarli a generare idee e a creare contenuti più velocemente e in modo più efficiente”.
Non abbiamo resistito. Lo abbiamo chiesto direttamente a ChatGPT: il software di OpenAI, di cui l’ecosistema tech sta dibattendo da più di due mesi, ha riassunto così il lavoro svolto da Storykube, startup italiana che offre un editor per scrittori, giornalisti e copywriter potenziato dall’intelligenza artificiale. Potrebbe sembrare una copia carta carbone del gioiello su cui Microsoft ha da poco investito 10 miliardi di dollari. Così siamo andati a chiederlo direttamente al Ceo e Founder di Stroykube Ottavio Fogliata, 35 anni. «Ricordo ancora quel giorno: ero appena tornato dal cinema, avevo visto un film proprio sull’intelligenza artificiale. Leggo la notizia: OpenAI ha svelato GPT-2. Ho pensato: lo stanno facendo senza di noi, ci dev’essere qualcosa di interessante».
Uomo e macchina
Originario di Taranto, Fogliata vive e lavora a Roma, dove in cinque anni ha trasformato un hobby che coltivava da sviluppatore – Storykube, appunto – in una startup che ad oggi ha raccolto investimenti seed da diverse realtà come Nana Bianca, Exor Seeds e LVenture. In totale circa 300mila euro. «Scrivi come un supereroe, si legge sul nostro sito». Sviluppatore con la passione per il giornalismo e la scrittura, il Ceo tiene molto a questo binomio: uomo e macchina.
«Alla base del nostro lavoro c’è l’obiettivo di creare una storia». L’intelligenza artificiale di ChatGPT, ad esempio, ha già mostrato i muscoli in fatto di creatività, sfornando copioni e sceneggiature di ogni tipo. In Storykube la differenza però è che la macchina non fa tutto. «Ultimamente sto utilizzando Storykube per provare la mia capacità di ragionamento. Ad esempio gli ho chiesto perché fosse successo un fatto e il sistema mi ha fornito diverse ipotesi. Da lì mi sono fatto l’idea».
La prossima Google
Dopo decenni di utilizzo sfrenato di Google, la mente di tutti noi si è ri-formattata. Sappiamo che abbiamo in tasca potenzialmente il sapere prodotto in millenni di storia, il cruscotto per orientarci nei fatti del mondo. Ma perfino a un gigante come Google sembra esserci all’orizzonte un’alternativa. Stiamo parlando di Bing, il motore di ricerca di Microsoft che alcuni fortunati utenti hanno già testato: si tratta di un search engine basato sulla tecnologia di ChatGPT. Giusto per contestualizzare: quel chatbot che in milioni stanno utilizzando dal dicembre 2022 non è collegato a internet e il suo sapere è limitato al 2021. Bing, invece, è ChatGPT collegato a internet.
Lavorare meno o lavorare meglio?
Storykube non è nulla di tutto questo. Immaginatevi un interfaccia stile Word, con pagina bianca. Per molti giornalisti e scrittori l’attacco è spesso il momento più complesso della scrittura di un pezzo o di un racconto. «Per questo chiedo a Storykube di aiutarmi a creare un personaggio e a come farlo evolvere». La tecnologia non è pensata perché l’AI produca il testo dall’inizio alla fine. «Non diamo un testo pronto: l’utente deve sempre fare qualcosa, perché fa parte della nostra mission. Ci rivolgiamo agli esperti del settore, non a chi si reinventa copywriter o vuole semplicemente lavorare meno».
Storykube può partire, ma poi è lo scrittore o il giornalista ad aggiungere testo, a chiedere al sistema di suggerire un nuovo paragrafo, a rifiutare una proposta fuori fuoco. «A sinistra gli utenti trovano la chat con il sistema, a destra l’editor. Se hai un incipit già pronto puoi iniziare a scrivere. Altrimenti ti rivolgi all’AI per ottenere un paragrafo di introduzione». Non sarebbe corretto mettere a confronto due realtà così diverse, OpenAI e Storykube, ma questo non significa che Fogliata non abbia chiari i punti di differenza tra la sua startup e quella di Sam Altman.
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Com’è competere con ChatGPT
«ChatGPT ha il pregio di essere tutto-fare: gli puoi chiedere di scrivere codice, di crearti un business plan. Noi non facciamo nulla di tutto questo: da Storykube non ottieni operazioni matematiche. Supernova, la nostra tecnologia, ha l’obiettivo di usare i dati per creare una storia». Storykube non è una cometa comparsa per cavalcare l’hype, come spesso capita quando un trend esplode e in molti tentano di capitalizzare l’attenzione per monetizzare. La startup italiana è cresciuta in cinque anni, osservando il mercato dell’AI generativa.
«Il successo di ChatGPT ci ha fatto anche gioco. Sono aumentati i nostri utenti. Abbiamo spazio e sfogo per trovare una posizione sul mercato. Con tecnologia proprietaria siamo gli unici in Italia, nel mondo in pochissimi». Dopo l’hype che inevitabilmente andrà a sgonfiarsi, sarà indispensabile per startup di questo tipo strutturarsi su una tecnologia solida, per affrontare una competizione globale in cui a farla da padroni sono i soliti nomi noti, in prima linea con miliardi investiti in chatbot. Qualche esempio: Microsoft ha ChatGPT, Google ha risposto con Bard, e Baidu in Cina non è da meno con ERNIE.
L’AI è la macchina da scrivere del futuro
Avendo provato una demo, possiamo confermare quanto ci ha spiegato nell’intervista il Ceo di Storykube. L’interfaccia e il design sono elementi su cui il team ha puntato fin da subito grazie al lavoro di Sara Riscica, Chief Design Officer. Da questo punto di vista, rispetto a ChatGPT non c’è partita. Ovviamente la startup non ha potuto finora contare su milioni e milioni di utenti che hanno allenato l’AI di OpenAI, che migliora ora dopo ora.
Il 2023 sarà ancora un anno dominato dall’intelligenza artificiale: strumenti per produrre testo vengono ancora in larga parte poco capiti e, legittimamente, moltissimi ancora non saprebbero che farsene nel proprio lavoro. «Bisogna vedere questi come una nuova penna, o una nuova macchina da scrivere. Il problema è come questi tool vengono usati: un conto è andare veloci, un altro è lavorare di meno e male».