Piero Dorfles, Presidente del Festival del Giornalismo Culturale: “la libertà della rete è inutile senza strumenti critici. La fusione tra élite e masse nella fruizione dei contenuti non è ancora avvenuta. TikTok è un potente alleato per raggiungere pubblici, solitamente distratti e lontani.
Partiamo da una certezza: si può essere ostili o favorevoli alla rete, ma non possiamo farne a meno per comunicare e allargare i pubblici di riferimento. Una regola che vale per tutti, nessuna eccezione, nemmeno per il giornalismo culturale. Ai social media sono affidate le parole della cultura, spesso destinate a fluttuare senza destinazione, come un aeroplanino di carta che plana sulla superficie della conoscenza, galleggiamento senza approfondimento. Eppure, le moderne piattaforme digitali sono fondamentali per la divulgazione dei libri, cultura ed eventi. Occorre domandarsi come costruire una rete in grado di accogliere e rilanciare la comunicazione culturale per un pubblico ampio. Quali sono i limiti da superare? Come raggiungere i giovani così pieni di informazioni, ma privi di conoscenza e strumenti critici, che si informano soltanto sugli schermi?
Ne abbiamo parlato con Piero Dorfles, Presidente del Festival del Giornalismo Culturale giunto alla decima edizione, che si terrà a Urbino (7-8-9 ottobre) e del quale StartupItalia è media partner. “Dal Web alla Terza” è il titolo dell’edizione 2022: ricerche, testimonianze e case studies per approfondire la complessa relazione tra la rete e la Terza pagina – lo spazio storicamente dedicato dai quotidiani cartacei italiani alla cultura -, osservando una certa longevità (per molti inattesa) della carta stampata.
Dottor Dorfles, nel giornalismo culturale esiste un compromesso possibile tra innovazione e tradizione?
Temo che siamo ancora lontani da questo obiettivo, tendenzialmente la carta stampata continua a essere un prodotto di élite, mentre la dimensione digitale è dedicata alla massa. La separazione non è superata, non c’è stata la fusione che tutti auspicavano e non si è compiuta la redistribuzione del sapere che la rivoluzione digitale aveva preconizzato. Noi speriamo e lavoriamo affinché questo avvenga, ma serve maggiore consapevolezza del problema.
Ci sono resistenze da parte di intellettuali e addetti ai lavori, nei confronti dell’innovazione?
Dell’innovazione non possiamo fare a meno, non si torna indietro, eppure ancora molti addetti ai lavori faticano a prendere atto del cambiamento. La digitalizzazione della comunicazione culturale non è ancora matura, anzi, a volte osserviamo un ulteriore appesantimento della fruizione dei contenuti culturali.
A cosa si riferisce?
Ad esempio, alcune riviste su carta, una volta pubblicate in formato digitale producono persino un appesantimento della dimensione intellettualistica, per cui oggi i contributi di taluni autori in rete risultano persino più difficili da comprendere per un pubblico ampio, confermando la separazione tra la dimensione popolare e quella dell’élite, che descrivevo prima.
Dieci anni fa lei aveva previsto l’impatto della trasformazione digitale?
Avevo intuito di trovarmi di fronte a una novità dirompente, ma ripensandoci, a posteriori, non posso dire che avessimo previsto con esattezza l’impatto dei cambiamenti che si sarebbero poi presentati. Ho sempre ritenuto che la rivoluzione digitale sarebbe stata ampia e per alcuni aspetti devastante e continuo a pensare che i problemi non sono stati superati.
Quali sono le priorità per rendere la rete un luogo utile per la crescita culturale?
È necessario inserire nel mondo della rete una base di cultura umanistica e strumenti per interpretare i grandi problemi, gestire la complessità e superare la superficialità. Quando osservo i diversi modelli comunicativi disponibili, oggi, in rete, noto una grave carenza di umanesimo. Un problema sul quale tutti gli studiosi e addetti ai lavori concordano, che temevo e che ho indicato, fin dall’inizio, come prioritario.
Gli indicatori in Italia sui livelli formativi sono sconfortanti. Che riflessi ci sono sull’informazione culturale?
Bisogna allevare la speranza altrimenti dovremmo rinunciare a qualunque tentativo per modificare l’esistente, ma credo che alcuni dei difetti più importanti della comunicazione online, prima o poi, verranno al pettine e diventeranno evidenti a tutti. Problemi che incidono sulla qualità delle nostre democrazie, con effetti negativi sul piano economico e organizzativo.
Se la sente di sbilanciarsi in una previsione?
Certamente non si tornerà alla sacralità della carta stampata e alla centralità assoluta del libro come strumento di trasmissione della cultura, ma sono convinto che non faremo mai a meno della dimensione del sapere profondo, della lettura attenta, della verticalità della conoscenza. Tuttavia, anche in questo caso il rischio è che diventino attività principalmente riservate alle élite. Noi, invece, dobbiamo opporci, combattere questa tendenza.
In che modo è possibile opporsi?
Attraverso delle decisioni collettive che promuovano una maggiore umanizzazione della dimensione digitale ed elaborino linguaggi e formati che rendano accessibili le parole della cultura a un pubblico più ampio di quello attuale.
TikTok per la promozione culturale è una risposta convincente? Sta contribuendo a creare numerosi bestseller nel mercato italiano…
Penso di sì, su TikTok osserviamo dei numeri molto interessanti e inattesi. È uno strumento che stimola un pubblico generalmente distratto, molto difficile da raggiungere con i canali tradizionali della comunicazione culturale. Pensiamo a La canzone di Achille di Madeline Miller, che è diventato un caso letterario a quasi dieci anni dall’uscita originale, grazie all’interesse che si è diffuso proprio su TikTok. La spinta online dei giovani lettori in questo caso è stata formidabile. Naturalmente questo esempio, per quanto positivo e incoraggiante, non cancella una certa difficoltà a fare arrivare i contenuti cosiddetti alti a vaste fasce della popolazione. La rete è disintermediata, spesso priva della dimensione della riflessione profonda, ma penso che i contributi degli esperti, degli intellettuali, della mediazione culturale, siano necessari per riuscire a far cogliere ai lettori il senso profondo di alcuni fenomeni culturali. Invece in rete l’informazione prevale sulla conoscenza”.
Informazione e conoscenza sul web: qual è la differenza?
Questo è uno dei nodi centrali di discussione che riguarda il web, praticamente a tutti i livelli: nella dimensione digitale, così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, si punta fondamentalmente a disseminare informazioni; ma per provocare una crescita collettiva avremmo bisogno di una maggiore distribuzione della conoscenza approfondita. Informazione e conoscenza sono due cose diverse, la conoscenza arriva successivamente, è una lenta maturazione ma è fondamentale per utilizzare le informazioni con piena consapevolezza, saper distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo, il vero e il falso.
Eppure, su questa distinzione si basa la libertà della rete…
Sì, ma è una libertà che non libera, una libertà che serve a poco se è priva di strumenti critici. La filiera formativa fondamentale per la crescita e maturazione di ogni essere umano inizia molto prima di avere accesso a un computer e a una connessione internet. Si comincia nelle famiglie, nella scuola e solo successivamente si arriva sul web dove dobbiamo orientarci e scegliere tra le infinte informazioni, di buone o pessima qualità. Da questo discorso non è esente la classe dirigente.
Ritiene che l’attuale classe dirigente crei le condizioni propizie per i giovani, affinché accedano alla rete consapevolmente?
Da questo punto di vista abbiamo un problema: le classi dirigenti sono poco colte e non riflettono abbastanza sull’importanza della conoscenza per i giovani. Invece proprio da questo avamposto, da questo punto specifico, bisognerebbe partire per immaginare una rivoluzione: una classe dirigente, politica, economica, culturale che sia in grado di trasmettere la necessità, urgente, della cultura e della riflessione, che non sono utile soltanto per essere più ricchi dal punto di vista spirituale, ma anche da quello materiale.