A Las Vegas torna dal vivo l’evento dedicato a chi costruisce le reti e i servizi che usiamo ogni giorno. Ed emerge una nuova visione del ruolo del networking per l’utente e il business
Senza dubbio la novità più intrigante di questa edizione di Cisco Live, tornata in presenza a Las Vegas (dopo l’ultima edizione di Barcellona nel 2020), è il modo stesso in cui Cisco racconta il proprio lavoro: mettendo da parte per un attimo i dettagli della tecnologia, ciò che tutti i manager si sforzano di fare sul palco del keynote principale, come in ogni altra conferenza organizzata nella tre giorni in Nevada, è spiegare come il mondo (del business, ma in generale il mondo in cui viviamo) stia cambiando, così come le aziende e Cisco stessa stiano lavorando per tenere il passo. Un modo nuovo di presentare le comunque molte novità di questo evento: Chuck Robbins e tutta la sua squadra di sforzano di chiarire a tutti quale novità li riguarda da vicino, che impatto avrà sulla loro vita quotidiana, quali saranno i risvolti per il consumatore finale.
C’è più di un’attenzione ai valori e al ruolo dell’essere umano nell’equazione: non si perdono di vista le metriche e gli strumenti utili a far crescere il business, ma non si sottovaluta neppure il ruolo dell’individuo. “Le persone in questa sala sono coloro le quali hanno creato la tecnologia che ha tenuto il mondo connesso durante gli ultimi due anni” ha detto il CEO Robbins durante il discorso inaugurale: un riconoscimento all’impegno profuso da chi, nell’arco di poche settimane, ha dovuto di fatto affrontare un cambiamento che altrimenti avrebbe richiesto decenni, e che finalmente ha restituito al cittadino (e non solo) la piena percezione dell’importanza e del ruolo svolto da certe infrastrutture.
Unire e semplificare
Detto questo, Cisco resta un’azienda che fa della tecnologia il cuore della propria offerta. E non mancano le novità in questo senso a Cisco Live 2022, con un annuncio che è a dir poco storico: finalmente i due principali strumenti di casa per il networking, ovvero la linea Catalyst e Meraki, si incontrano sull’altare dell’unificazione e della semplificazione dopo anni di sguardi complici e di abboccamenti. Il vantaggio è evidente: la semplicità dell’interfaccia Meraki si allarga a Catalyst, con tutto ciò che ne consegue in termini di semplificazione e consolidamento delle operazioni del reparto IT.
Ovviamente non stiamo parlando di cannibalizzare un marchio nell’altro, al contrario: Catalyst si porta dietro dei vantaggi indubbi (come i processori della linea Silicon One sviluppati in casa), ma Meraki può offrire a questo tipo di prodotto una spinta verso il cloud. Soprattutto, significa iniziare a gestire l’infrastruttura di rete delle aziende medio-grandi attraverso una sola interfaccia: proprio questo aspetto, la semplificazione unita all’unificazione, è il cuore della nuova filosofia di casa.
L’idea, come spiega a StartupItalia Chris Stori che è il General Manager della divisione chiamata non a caso Networking Experience, è quella di accompagnare gli utenti verso il futuro in modo progressivo e se possibile rispettoso dei loro tempi: “I clienti apprezzano la semplicità di Meraki, ma riconoscono la potenza di Catalyst: quindi ci siamo posti il problema di creare questa esperienza end-to-end, tenendo conto del fatto che ogni cliente è differente ed è a uno stadio diverso di evoluzione della propria infrastruttura”. Con l’interessante risvolto, con questo sposalizio tanto atteso, di offrire anche garanzie aggiuntive rispetto all’investimento: se oggi investo in Meraki in futuro potrò aggiungere Catalyst alla mia infrastruttura, o viceversa. Il tutto, ci dicono, senza dover neppure acquistare licenze aggiuntive oltre quelle che si possiede già.
Semplicemente, ripete Stori, “Basta sedie girevoli, basta fare avanti indietro: tutto è a tua disposizione, che sia monitoraggio di un cloud ibrido o la gestione di hardware on premise. L’idea non è soltanto quella che ci siano clienti con un’architettura ibrida, ma anche che si tratta di clienti che dobbiamo supportare nel tempo in una coda lunga. Perché Catalyst si porta dietro un’eredità importante, 30 anni di innovazione: ha delle capacità avanzate che magari non vogliamo portare sulla linea Meraki, che deve rimanere legata alla semplicità, ma l’idea è che iniziando a sfruttare il cloud si possa trarre il meglio dai due mondi riuniti insieme”.
Il contributo della nuvola
Tutto questo, come detto, viene visto nell’ottica di guidare sempre di più una transizione (inevitabile) verso la nuvola: sul cloud ci saranno i servizi del futuro, le app, si costruiranno le infrastrutture e i modelli di business che d’ora in avanti costituiranno il tessuto di tutte le offerte commerciali. Cisco sta immaginando questa transizione ponendosi come un intermediario tra le infrastrutture cloud (quelle di Google, Amazon e Microsoft, per capirci) e tutto ciò che può esservi costruito sopra: che stiate pensando a un software SaaS, a una piattaforma PaaS, a un servizio serverless, qualsiasi sia il vostro interesse c’è da gestire la presenza online. Cisco Nexus Cloud dovrebbe andare a costituire proprio questo livello intermedio tra le infrastrutture e i servizi, una piattaforma che offre tutto quanto è necessario per farlo.
In questo ecosistema rientrano poi tutti gli altri servizi che Cisco ha costruito, ha acquisito, sta costruendo. ThousandEyes è ciò che serve per identificare e se possibile persino prevenire un problema a livello di networking della nostra infrastruttura: non siamo ancora arrivati al momento critico in cui l’intelligenza delle macchine sarà in grado di identificare e risolvere il problema in autonomia, ma il ruolo che può svolgere questa tecnologia nell’individuare un errore o un potenziale problema (pensate a un disservizio di un cloud provider) e suggerire una soluzione è quanto occorre per garantire efficienza e soprattutto continuità, a quelli che sono veri e propri modelli di business totalmente cloud.
Un’azienda che non può utilizzare i suoi strumenti CRM subisce un danno che cresce con il passare del tempo, così come accadrebbe nel caso in cui la sicurezza dei dati custoditi nel cloud non venisse garantita. Altro annuncio e altro tassello del mosaico è quindi Cisco+ Secure Connect Now, che costruisce una soluzione zero-trust per l’autenticazione e che sfrutta anche criteri innovativi per identificare il grado di confidenza da attribuire a un utente che si collega al nostro network: grazie ad esempio a una tecnologia proprietaria, che identifica una vera e propria impronta digitale di una rete wireless, il servizio può accorgersi di un accesso da un luogo inaspettato e applicare in modo progressivo criteri sempre più rigidi. La password, l’autenticazione doppio fattore, triplo fattore: il tutto sempre cercando di garantire semplicità di utilizzo, con una sola interfaccia di una sola app che gradualmente andrà a riunire tutto quanto è necessario installare e configurare sugli endpoint (ovvero, in moltissimi casi, i PC aziendali).
E poi c’è l’innovazione
“Dobbiamo, assolutamente, continuare a innovare: e lo possiamo fare in tre modi” continua Stori nel corso di una intervista con StartupItalia. “Il primo, è continuare a innovare in una prospettiva cloud native: perché c’è modo di svolgere alcuni compiti nel cloud in maniera tale da garantire un autentico guadagno di tempo per gli amministratori di sistema. E creare questo risparmio pratico, questo è fare realmente innovazione: perché un nuovo device può essere interessante, ma quello che ci ripetono i nostri clienti è che se gli complica la vita non posso davvero introdurlo nella loro infrastruttura” ci spiega. E aggiunge che a guidare lo sviluppo sono i dati e le informazioni che i clienti stessi forniscono a Cisco: osservando il modo in cui interagiscono con la loro infrastruttura, come svolgono determinati compiti, è possibile costruire per loro prodotti sempre più rispondenti a esigenze reali.
“Il secondo modo in cui possiamo fare innovazione riguarda la sicurezza: come costruisco oggi una infrastruttura sicura?” si chiede Stori. La complicazione maggiore deriva dal fatto che un vendor come Cisco deve preoccuparsi non solo di garantire i proprio prodotti e servizi, ma anche di accogliere soluzioni miste che comprendano prodotti di terzi: non c’è alcun interesse a costruire barriere. Anzi, il lancio di servizi come Panoptica o Calisti o quello di altri software e servizi rigorosamente con licenza open source e seguendo i criteri dell’open source, dimostrano un impegno in tal senso.
Infine c’è un capitolo decisamente interessante: quello della sostenibilità. “Siete mai stati in un datacenter? Si congela lì dentro, no?” ci chiede ancora Stori: una conseguenza inevitabile di come oggi queste infrastrutture vengono progettate, modellando i sistemi di raffreddamento al picco massimo di impiego dell’hardware e poi lasciandoli operare sempre al massimo della potenza. “Una cosa che possiamo fare è installare sensori della linea Meraki nei datacenter, dove ci sono i server: in questo modo il datacenter può adattare il sistema di raffreddamento per adeguarlo alle reali necessità, trasformando il tutto in un sistema dinamico, e può farlo in modo automatico liberando l’IT da certi tipi di impegni”.
Il tutto, racconta Chris Stori, si rifà a quello che è poi il ruolo che egli stesso ricopre in Cisco: “Alla fine il nome del mio team è Networking Experience: siamo attenti, concentrati, sull’esperienza finale dell’amministratore di sistema, ma siamo anche focalizzati sull’esperienza dell’utente finale. Che – conclude – deve essere a ogni costo una buona esperienza”.