Piccoli Desperados crescono (a forza di fagiolate)
Che il vecchio West fosse un’ambientazione affascinante per il cinema ce lo hanno raccontato migliaia di registi, da Sergio Leone in giù. Che fosse la location ideale in cui ambientare un videogioco, però, è una scoperta relativamente nuova. Solo con il successo di Red Dead Redemption e, in particolare, del II, sempre più software house hanno deciso di stanziare lì, tra mesa e cactus, le proprie avventure. Ma il prodotto della startup innovativa tedesca Honig Studios, più che al titolo Rockstar, sembra ispirarsi alla saga d Desparados, recentemente giunta al terzo capitolo. Vediamo allora di capire cosa ci aspetta in questo curioso El Hijo – A Wild West Tale…
Un piccolo Bart Simpson del West
La tempra del giovane monello protagonista di El Hijo – A Wild West Tale è sicuramente quella di Bart Simpson. Lo stile grafico del gioco, invece, rimanda in più occasioni alle opere Disney – Pixar. E, dobbiamo ammetterlo, per quanto la produzione sia budget, questo videogioco riesce a stupire proprio per l’impianto artistico.
La storia alla base delle nostre monellerie è tanto semplice quanto d’impatto: nei primi secondi di gioco il ranch in cui viviamo con mamma viene dato alle fiamme da pericolosi banditi. Nostra madre riesce a sfuggire e ci porta in salvo in un monastero: lì ci sottrae la fionda e ci fa promettere che ci comporteremo da bravi ometti del West. Nemmeno il tempo di girare i tacchi, però, che viene rapita dagli stessi delinquenti che hanno ridotto in cenere il poco che possedevamo.
Il bimbo eroe del gioco, che ha solo sei anni, naturalmente non ci sta e decide di fare coriandoli delle promesse fatte a sua madre per correre a salvarla. La prima cosa che dovremo fare, dunque, sarà fuggire dal monastero e recuperare la preziosa fionda…
Leggi anche: Utawarerumono, botte da orbi nel Giappone feudale
Si apre così il lungo, intricato e divertente tutorial alla base di El Hijo – A Wild West Tale. Una cosa, però, è mettere a soqquadro l’abbazia, facendoci rincorrere da impacciati frati che solleveranno comicamente la sottana per provare a fermarci, un’altra farci valere nel mondo che ci attende là fuori.
Non sarà né facile né immediato uscire dal monastero: i quadri di El Hijo – A Wild West Tale sono lunghi e intricati. Pur non raggiungendo mai la complessità di Desperados III, che aveva come caratteristica principe quella di muovere più o meno contemporaneamente diversi personaggi (così da creare inediti livelli di profondità), hanno comunque il loro fascino e, soprattutto, sono sicuramente ben congegnati, presentando la giusta commistione di enigmi e sequenze d’azione.
Per il resto, questa produzione tedesca segue abbastanza fedelmente il videogame più volte citato e sviluppato sempre in Germania: Desperados. Anche qui, insomma, bisognerà addentrarsi in una serie di piccoli, deliziosi, labirinti, facendoci beffe delle tante guardie che pattugliano i sentieri. Grazie al pappagallino avremo la possibilità di godere di una visuale a volo d’uccello (nel vero senso della parola) utile non solo a individuare la posizione dei nemici, ma pure quella degli orfanelli, che costituiscono i collezionabili del gioco e possono premiarci con consigli e nuovi oggetti.
Purtroppo l’IA nemica non è sempre sfidante e ogni tanto i controlli non rispondono con la dovuta precisione, ma in compenso El Hijo – A Wild West Tale è una piccola perla. Non purissima, d’accordo, ancora da lucidare, ma divertente e capace di intrattenere.