Nei prossimi giorni previsto un tavolo tra i funzionari di Washington e di Pechino. Ma gli americani prendono i cinesi alla sprovvista allargando la black list ad alcuni unicorni
La spada di Damocle non grava soltanto su colossi come Huawei. La guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina colpisce ora diverse startup asiatiche ma, con ogni probabilità, sarà solo la punta dell’iceberg perché la situazione è destinata a evolversi ulteriormente nei prossimi giorni. E le premesse non sono le migliori, ma andiamo con ordine.
Chi finisce coinvolto nella guerra dei dazi
Gli Stati Uniti di Donald Trump, l’uomo che ha dato fuoco alle polveri a questo conflitto commerciale con proporzioni ormai globali, si preparano al nuovo vertice con le autorità cinesi in modo particolarmente bellicoso, inserendo nella lista nera delle imprese cinese destinate al bando un numero significativo di realtà, tutte nel campo dell’AI.
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Nel mirino è finito così un gigante del calibro di Hikvision (dal valore di mercato di 42 miliardi di dollari) attivo nel comparto della videosorveglianza e molte startup che operano nel settore del riconoscimento facciale come Yitu Technology e Yixin Science and Technology.
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Altre, come iFlytek, sviluppano software di riconoscimento vocale, cui si aggiungono Zhejiang Dahua Technology che produce sofisticate attrezzature per la sorveglianza e Xiamen Meiya Pico Information attiva nel campo della cybersecurity.
Unicorni nel mirino
Troviamo poi due unicorni piuttosto noti anche in Occidente: SenseTime (startup attiva nel settore dell’AI, dal valore di 4,5 miliardi di dollari) e Megvii (4 miliardi), presa sotto l’ala di Alibaba. Soltanto lo scorso anno, SenseTime ha raccolto 620 milioni di dollari al suo secondo round di finanziamento.
Privacy e guerra dei dazi
I motivi? Ufficialmente il ruolo svolto da queste realtà (circa una trentina) nelle misure di sorveglianza e detenzione di massa che riguardano i musulmani uiguri nella regione autonoma dello Xinjiang. In realtà, il messaggio che da Washington vogliono fare arrivare a Pechino è che gli USA sarebbero costretti a ricorrere alla guerra dei dazi perché non si fidano del modo in cui le aziende cinesi raccolgono i dati tramite questi sofisticati sistemi di sicurezza (che molto spesso si affidano a software americani. Hikvision, che ha sede anche in Italia, ha componenti sviluppati da Ambarella, Intel, Nvidia, Seagate Technology e Western Digital).
Sia chiaro, agli USA non è mai importato troppo della privacy dei propri cittadini. Ma questa volta il Grande Fratello all’ascolto, in grado di carpire e catalogare milioni di dati biometrici, non ha più sede in qualche misterioso palazzo di Washington bensì nell’estremo Oriente del mondo. E allora è tutta un’altra faccenda.