I fattorini in bici avevano fatto causa dopo che erano stati sospesi dal lavoro per le proteste in piazza contro la paga troppo bassa
Foodora 1, rider 0. In estrema sintesi è questa la conclusione del processo intentato a Torino dai bikers contro Foodora, il colosso tedesco del food delivery. I lavoratori – sei in tutto – erano stati lasciati a casa dopo la protesta per le retribuzioni troppo basse e avevano così fatto ricorso al giudice chiedendo il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato.
Le ragioni della protesta
La vicenda ha inizio un anno fa quando i sei giovani rider, dopo aver promosso una serie di manifestazioni per protestare contro le condizioni di lavoro e contrattuali, erano stati lasciati a casa dal datore di lavoro. I fattorini erano scesi in piazza poiché si era passati da una retribuzione oraria di 4 euro all’ora, già di per sé al limite della sopravvivenza, a una paga a cottimo, come se il loro fosse un lavoro autonomo e non a contratto [Rettifica: In merito a quanto scritto nell’articolo, Foodora precisa che: i rider che hanno fatto causa alla società erano pagati 5,60 euro all’ora e che il compenso a consegna è invece di 4 euro. E, in media, i fattorini effettuano almeno 2 consegne in un’ora]
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Il controllo lesivo della privacy
Non solo, gli avvocati (Sergio Bonetto e Giulia Druetta) dei sei rider avevano anche lamentato il fatto che Foodora tracciasse ogni loro spostamento durante il turno di lavoro, come se avessero indossato un braccialetto elettronico per ex detenuti in prova, e ciò fosse lesivo della loro privacy. Da parte sua il colosso tedesco aveva replicato che l’applicazione per smartphone poteva accedere, attraverso il gps, soltanto al dato sulla geolocalizzazione, istantaneo e non memorizzato.
Condizioni di lavoro estreme
In più, secondo quanto riportano i legali dei sei, nella vicenda avrebbe anche pesato la generale condizione lavorativa. In aula sono state lette le chat tra i dipendenti e i loro diretti responsabili. Per fare un esempio, a un fattorino che avava segnalato di aver rotto il copertone il “capoflotta” aveva replicato: «non riesci a pedalare anche con il copertone bucato?». O, ancora, a un rider che aveva chiesto di poter interrompere prematuramente il turno per via di un forte dolore alle gambe era stato risposto seccamente: «Ci servono tutti i rider».
Ma per i legali di Foodora si tratta di messaggi interpretati male. Infatti, come hanno dichiarato Ornella Girgenti, legale Paolo Tosi e Giovanni Realmonte alla Stampa: «Si trattava solo di esortazioni, molte volte fatte in modo scherzoso e con qualche faccina. Molti fattorini, soprattutto nei giorni di pioggia in cui le richieste di consegne sono tantissime, rinunciavano ai turni, senza preoccuparsi di cercare un sostituto, senza scusarsi».
Il “no” del Tribunale: caduta ogni accusa a Foodora
Le istanze dei sei ex dipendenti di Foodora si sono però scontrate contro la decisione del Tribunale del Lavoro di Torino che ha respinto tutte le accuse mosse alla multinazionale tedesca. I sei dunque non vedranno alcun risarcimento, anche se i loro legali promettono battaglia e sembrerebbero intenzionati a impugnare la sentenza. Se fossimo nel penale e non in una causa di lavoro, si potrebbe dire Foodora è stata assolta con formula piena.
Che si chiuda o no il loro fascicolo sulla scrivania del giudice di Torino, però, resta aperta la questione, più generale, per migliaia di altri giovani che lavorano per aziende analoghe lamentando condizioni lavorative peggiori. Uno dei principali problemi della cosiddetta “gig economy”, l’economia dei lavoretti a chiamata che, in talune condizioni, rischia di trasformarsi in ben altro.