L’idea di un imprenditore canadese: il calore del “mining” di 30 computer riciclato per riscaldare l’acquacoltura e “crescere” salmerini alpini. E le casse sorridono
A quanto pare, secondo le numerose stime diffuse nei mesi scorsi – per esempio quella di Digiconomist – fare “mining” di Bitcoin, cioè produrre quella come tutte le altre criptovalute che proprio in queste ore vivono l’ennesimo crollo mondiale, è estremamente dispendioso in termini energetici. L’attuale consumo energetico annuo per la creazione dei soli Bitcoin ammonta per esempio 29,86 TWh, ovvero lo 0,13% di tutta l’energia globale. Il 10% di quanto viene consumato dall’Italia, come un qualsiasi Paese del mondo, per esempio più del fabbisogno marocchino.
Le altre stime
Secondo una ricerca condotta dalla piattaforma britannica di comparazione delle tariffe energetiche PowerCompare, invece, la quantità media di elettricità usata quest’anno per produrre Bitcoin ha superato i consumi energetici annuali medi di 159 nazioni. Piazzandosi sopra l’Irlanda e molti stati africani. A seconda dei parametri utilizzati e delle ricerche queste indicazioni variano ma il punto rimane uno: l’energia che si utilizza – e si spreca, per certi versi – è molta. E sarà sempre di più con l’espansione delle numerose applicazioni per cui la tecnologia blockchain potrà essere utilizzata, come dimostrano Ethereum o Ripple.
L’idea di Bruce Hardy
Un imprenditore di base in Canada, Bruce Hardy, sta tentando di risolvere a modo suo la contraddizione. Riciclando l’enorme quantità di calore generata dai computer che fanno “mining” di Bitcoin per riscaldare e in generale alimentare le necessità delle sue coltivazioni al chiuso. Hardy è il presidente di Myera Group, una società che è impegnata nello sviluppo di sistemi sostenibili di produzione alimentare. Sfruttando il più possibile le risorse tecnologiche. Allo stesso tempo Hardy possiede una società informatica ed è impegnato nella produzione di Bitcoin almeno da un paio di anni, con oltre 30 macchine a pieno regime. Risolvono le complesse operazioni utili a “estrarre” nuove unità della misteriosa criptomoneta.
Riciclare il calore dei pc
L’edificio in cui ha sede la sua società di software, a Winnipeg, nel Manitoba canadese, ospita anche le acquacolture di basilico e lattuga e gli allevamenti di salmerino alpino, un pesce appartenente alla famiglia Salmonidae. Bene: per pompare i nutrienti dall’acqua dell’allevamento al primo piano, dove sono coltivate le piantine, e per riscaldare quest’ultime, Hardy utilizza il calore “espulso” dai calcolatori. In un riciclo virtuoso che fa bene anche alle casse.
Così, oltre a piante e animali, invece di pagare per un impianto di condizionamento che raffreddi i suoi computer, incanala il calore che questi generano per alimentare non solo coltivazioni e allevamenti ma anche un sistema di refrigerazione. “Tutto è connesso, un po’ come sulla Terra” ha spiegato l’imprenditore alla Cbc. I ricavi ottenuti estraendo Bitcoin hanno aiutato Hardy a sostenere il suo business principale, che è appunto quello dell’integrazione cibo-sostenibilità soprattutto su scala locale.