Dopo il successo della serie prodotta da Netflix “Tredici”, l’Associazione Nazionale di Psicologi scolastici americana ha diffuso delle linee guida con indicazioni per insegnanti e genitori su come parlare della serie (e del suicidio) ai giovani
Tredici, o nella versione originale, “13 reasons why”, è stato un successo. La serie americana, da fine marzo disponibile su Netflix anche in Italia, racconta il percorso che ha portato al suicidio l’adolescente Hannah, ed ha raccolto intorno alle sue 13 puntate una platea ampissima di spettatori, soprattutto tra i “teen”. La pagina Facebook ha oltre 2 milioni e mezzo di like, 370 mila follower su Twitter. Secondo alcune fonti, è stato lo show televisivo più twittato del 2017 e da qualche giorno si parla di una seconda serie in preparazione. Da quando è stata presentata al pubblico non ha smesso di far discutere, sia per le sue scene crude (uno stupro e un suicidio rappresentati senza fare sconti sul dolore della protagonista) sia per il fatto che in qualche modo “giustificherebbe” e renderebbe accattivante il suicidio agli occhi degli adolescenti cioè il target della serie. Per questo l’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici Americana è arrivata a pubblicare una guida per insegnanti e genitori su come parlare ai ragazzi della serie e come accompagnarli nella eventuale visione.
Una storia di bullismo e depressione
La serie, co-prodotta dalla cantante Selena Gomez, racconta la storia di Hannah Baker che, prima di togliersi la vita, registra delle audiocassette che invia ad alcuni compagni di scuola: ogni cassetta descrive il modo in cui queste persone abbiano contribuito al suo suicidio e gli episodi (violenza sessuale, abuso di sostanze, bullismo) che l’hanno condotta alla scena finale, quella in cui Hannah si taglia le vene. Le critiche che molti specialisti, soprattutto tra gli psichiatri, hanno sollevato riguardano il fatto che il suicidio è stato presentato in maniera quasi eroica, con una scena finale degna da romanzo romantico. Il modo in cui è strutturata la serie farebbe percepire il gesto come una vendetta contro chi ha fatto soffrire Hannah, e quindi giustificandolo, con ragioni dettagliate e precise (non per niente si chiama “13 ragioni per cui…”). Non è tutto: la figura del consulente scolastico nella serie non aiuta la protagonista, rappresentando la scuola come una istituzione del tutto “inutile” al fine della salvezza della ragazza. Inoltre, nella serie non si fa mai riferimento al fatto che i ragazzi che si suicidano sono affetti da disordini mentali, o da depressione, da cui si può guarire. Il suicidio è visto solo attraverso gli occhi della protagonista e quindi lo spettatore lo percepisce come qualcosa di inevitabile e in qualche modo anche ragionevole. Un messaggio che non potrebbe essere più sbagliato, soprattutto se veicolato a una platea di adolescenti.
La replica di Netflix alle critiche
Netflix ha recentemente affermato che aggiungerà ulteriori avvisi – oltre a quelli che già aveva messo – per avvertire il pubblico sul contenuto della serie, ed ha pubblicato un documentario in cui il cast parla delle difficoltà dello show. In Beyond the Reasons, Brian Yorkey, il creatore di Tredici, spiega che la crudezza della scena finale è stata voluta appositamente per rappresentare il suicidio come qualcosa di molto brutto, per trasmettere il dolore non solo della protagonista, ma anche dei compagni e dei genitori, quindi “di chi resta”. Ma psicologi e genitori non sono d’accordo. Alcuni dirigenti scolastici americani hanno mandato delle email alle famiglie cercando di avvertirle dei rischi di un possibile “effetto emulativo” a cui la serie potrebbe indurre. L’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici Americana ha pubblicato delle guide linee per educatori e genitori su come parlare ai propri studenti di Tredici.
Come parlare di suicidio agli adolescenti
Innanzitutto si sconsiglia nel modo più assoluto la visione di questa serie a tutti i soggetti considerati più vulnerabili, con tendenze all’autolesionismo. Quando si parla della serie a scuola, agli insegnanti si raccomanda di permettere agli studenti di esprimere liberamente le loro impressioni e tenere sempre in considerazione che gli episodi rappresentati nelle puntate sono realtà che gli adolescenti vivono quotidianamente e pertanto di prendere sul serio ogni loro preoccupazione. La guida, poi, passa in rassegna tutti i segnali che un ragazzo con tendenze al suicidio può mandare e come fare per affrontarli: restare calmi, non giudicare, dimostrarsi sempre pronti all’ascolto e al dialogo.
Da evitare assolutamente qualsiasi frase o opinione che “minimizzi” il problema e il loro dolore emotivo, come ad esempio “dovresti passarci sopra”.
L’Associazione Nazionale degli psicologi, inoltre, consiglia di chiedere espressamente agli studenti se abbiano mai pensato al suicidio e raccomanda di ricordare sempre loro che c’è un rimedio e che i sentimenti che provano in questo momento della loro vita non dureranno per sempre. Gli stessi consigli si offrono anche a genitori e famiglie, con l’aggiunta di un “glossario” con frasi adatte ad affrontare l’argomento con i propri figli e alcuni avvertimenti per separare i “miti” dai “fatti”. Uno su tutti: parlare del suicidio a un giovane, lo incita a commetterlo. Non è vero: al contrario, aprirsi verso un dialogo su quali siano i suoi sentimenti e i suoi problemi può salvarlo da una potenziale situazione di disagio o, agli estremi, di morte.