Robot marini, ma anche bucce d’arance, costumi smart e persino le pecore. Per contrastare l’inquinamento dei nostri mari insomma, ognuno deve fare la sua parte. Ma la tecnologia ci viene in soccorso.
“Nessuno salva gli oceani da solo: ognuno di noi può avere un ruolo nella risoluzione del problema”. A dirlo è Cyrill Gutsch, fondatore dell’associazione ambientalista Parley for the Oceans. E Gutsch con la sua onlus si sta dando da fare, collaborando ad un progetto ambizioso lanciato dal famoso brand d’abbigliamento sportivo Adidas. Realizzare scarpe da ginnastica con i rifiuti presenti negli oceani. Il loro nome sarà UltraBOOST Uncaged Parley. Si punta a produrne un milione nel 2017.
Numeri impietosi
Del resto, stando ai numeri, da qui al 2050 negli oceani si potrebbe trovare più plastica che pesci. Ma non solo. Ci sono altri tipi di inquinamento, più difficili da individuare, come quelli dovuti alla presenza di metalli pesanti, pesticidi o batteri. Per questo, all’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Cnr a Messina si lavora per mettere a punto un robot marino capace di raccogliere campioni di acqua e analizzarli in tempo reale. Si chiama Braavoo e fa parte di un progetto europeo di ricerca (che si chiuderà il 30 novembre prossimo): grazie a speciali biosensori, questa nave-robot sarà in grado di ottenere preziosi informazioni sullo stato di salute dei nostri mari.
E parlando di metalli tossici, secondo Nature sarebbero circa 80mila le tonnellate di mercurio presenti nell’Oceano a causa delle attività umane.
Mercurio che poi è destinato a finire nei nostri piatti attraverso il consumo di pesce contaminato.
Per combattere questo fenomeno, un gruppo di ricercatori della Flinders University, guidati dal prof. Justin Chalker, ha appena messo a punto una ricetta speciale, a base di zolfo e bucce d’agrumi.
Un’arancia al giorno contro l’inquinamento
L’ingrediente chiave per il team di scienziati australiani è un polimero creato per l’appunto da zolfo e limonene, un idrocarburo aromatico presente nella pelle di arance e limoni. Tra le sue caratteristiche, c’è quella di cambiare colore in risposta all’esposizione al mercurio. In questo modo può facilmente rilevare la presenza del metallo, in acqua o nel suolo. Dopo aver aderito al polimero, il mercurio solubile può essere rimosso con un semplice lavaggio.
Inoltre è atossico ed economico, trattandosi entrambi (zolfo e limonene) di sottoprodotti di scarto del comparto industriale. “Più di 70 milioni di tonnellate di zolfo vengono prodotte ogni anno dall’industria del petrolio – spiega Chalker – mentre oltre 70 mila tonnellate di limonene sono prodotte dal settore degli agrumi”.
In pratica, ci sarebbero montagne di questo composto non utilizzate in tutto il mondo.
“Ecco perché questo nuovo polimero non solo è capace di risolvere il problema dell’inquinamento da mercurio, ma ha anche l’ulteriore vantaggio ambientale di trasformare materiali di scarto in qualcosa di utile”.
Boyan Slat
Nel Mare del Nord, intanto, continuano i test del sistema inventato da Boyan Slat, il 22enne olandese che ha inventato una tecnologia in grado di recuperare e distruggere la plastica dai mari di tutto il mondo. Ocean Cleanup Array è costituito da un sistema di barriere galleggianti ancorate ai fondali che, sfruttando le correnti marine, riesce a filtrare i rifiuti e a raccoglierli in una piattaforma. Una sorta di grande contenitore in grado di stivare una quantità di plastica mai catturata prima. Tutto senza danneggiare la fauna e la flora degli oceani.
Tecnologie da indossare
Ci vorrà ancora del tempo (e nuovi finanziamenti) per pensare di poter utilizzare una tale tecnologia su larga scala. Intanto però, come detto, ognuno potrà continuare a fare la propria parte. Anche con una semplice nuotata. A patto di indossare Sponge Suit, il primo bikini anti-inquinamento ideato dai ricercatori dell’Università della California. Fashion e green al tempo stesso, è costituito da una struttura di plastica flessibile stampata in 3D, sulla quale si innestano dei sottilissimi inserti di un biomateriale poroso derivato dal saccarosio. Mentre nuotiamo può raccogliere una quantità di inquinanti pari a 25 volte il proprio peso, prima di perdere le sue capacità di assorbimento.
Ma se vi stupisce l’idea che un costume possa aiutarci a combattere l’inquinamento marino, non pensereste mai che a farlo può essere anche una pecora. O meglio, la sua lana. Dalla Sardegna infatti arriva Geloana, una barriera anti-inquinamento prodotta dall’azienda Edizero in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Sanitaria dell’Università di Cagliari. Un geo-tessile intelligente, in lana vergine di pecora sarda appunto, capace di ospitare al suo interno microrganismi marittimi che assorbono le sostanze inquinanti. Un chilo di prodotto è in grado di eliminare da sette a quattordici chili di idrocarburi. Insomma, se è vero che “nessuno salva gli oceani da solo”, abbiamo trovato un’insospettabile alleata.