Al contrario che in Europa, negli Usa la sensibilità verso lo spreco è bassa. Imperfect Produce e Hungry Harvest recuperano frutta e verdura di seconda scelta, dando una mano a colossi come Walmart e Whole Foods
Gli americani, questo almeno secondo l’organizzazione National Resources Defense Council, sprecano il 40% del cibo. “Come acquistare cinque buste di alimenti e lasciarne due al parcheggio del supermercato”, ha efficacemente sintetizzato Dana Gunders, una scienziata del gruppo, a Usa Today. La catena alimentare fa insomma acqua da tutte le parti: per il dipartimento dell’agricoltura un terzo di ciò che vi entra ne esce rifiuto. Questo perché, contrariamente a quanto sta accadendo in Europa rispetto allo spreco di cibo (basti pensare alla legge francese o a iniziative come la danese Wefood), negli Stati Uniti la sensibilità su questo fronte è piuttosto scarsa. Ma qualcosa potrebbe presto cambiare. Aprendo prospettive anche per le startup del Vecchio Continente.
Il business del brutto
Un paio di società a stelle e strisce, infatti, hanno deciso di scommettere sul “business del brutto”. Specialmente nel comparto della frutta e della verdura basta un minimo difetto perché un prodotto sia scartato e finisca in pasto agli animali, a marcire nelle discariche o per trasformarsi compost. Il colore sbiadito, la forma irregolare, le dimensioni che non ne consentirebbero l’esposizione all’interno di dispenser e cassette: sono tante le ragioni, unica è la sorte di quelle angurie, quelle carote, quelle zucchine. Il cassonetto.
Le scelte dei giganti
Ecco perché Whole Foods Market sta per aprire una nuova epoca nella grande distribuzione americana. Il gruppo texano, presente con centinaia di punti vendita non solo negli Stati Uniti ma anche in Canada e nel Regno Unito, ha infatti deciso di adottare il movimento del cibo brutto. Certo, è una catena già sensibile a certi temi, visto l’assortimento biologico e controllato dei suoi prodotti. E anche il pachiderma Walmart, almeno in Gran Bretagna, sembra aver recepito il messaggio: offre infatti, a prezzi scontati e in 550 negozi, dei box da cinque chili contenenti frutta e verdura non proprio straordinarie per gli occhi. Tornando a Whole Foods, a partire da aprile frutta e verdura esteticamente danneggiate ma ottime da vendere e mangiare saranno finalmente messe in vendita nei negozi della California del Nord. Un progetto pilota insieme alla startup locale Imperfect Produce.
La svolta con la campagna #WhatTheFork
Un passo era già stato fatto utilizzando i prodotti meno attraenti per confezionare succhi, frullati e altri prodotti pronti. La svolta è tuttavia arrivata lo scorso anno, anche grazie a una campagna battezzata #WhatTheFork di cui ha fatto parte anche una petizione su Change.org, attualmente attiva, che ha già raccolto oltre 110mila firme e lanciata da UglyFruitandVeg.org. Insomma, è il momento di dare una seconda chance al brutto. “Il nostro obiettivo è spreco zero e dunque cerchiamo sempre nuovi modi per ridurre l’impatto e influenzare positivamente il comparto” si legge in una nota di Whole Foods.
Il lavoro delle startup
Un’altra startup che punta il suo futuro su questa nicchia, che nicchia non è destinata a rimanere, è la Hungry Harvest fondata due anni fa in Maryland e venuta fuori nella locale edizione del talent televisivo Shark Tank, visto l’anno scorso anche in Italia. In questo caso il processo fuoriesce dal supermercato: la società funziona da intermediaria fra i punti vendita e le famiglie che non abbiano problemi ad acquistare prodotti fuori dai classici parametri o diversamente belli, per così dire. Hungry Harvest lavora nel Discrict of Columbia e a Philadelphia consegnando box da 15 a 35 dollari. Prossima tappa New York, in estate.
Anche la Imperfect Produce, lanciata lo scorso anno, segue la stessa strada: consegna frutta e verdura di seconda scelta a 2.200 clienti della Bay Area a prezzi evidentemente inferiori a quelli dei negozi. Per Whole Foods contrassegnerà i prodotti di questo tipo, per differenziarli dalle prime scelte. Ma è una strada percorribile, nel regno del consumismo? Il Ceo di Imperfect Produce Ben Simone è ottimista. E come non potrebbe esserlo. In fondo i mercati in cui i coltivatori propongono direttamente i propri prodotti, ormai diffusissimi anche in Italia, dimostrano in effetti che i margini sono alti e che i consumatori sono disponibili a rivedere, almeno in parte, i parametri “cosmetici”.