Il progetto Fe’l.Fil, completamente “open”, permette ai maker di auto-prodursi a casa i filamenti per la stampa 3D, riciclando scarti e abbattendo costi. Un occhio all’ambiente, uno al portafogli
A Torino hanno appena presentato un estrusore, il cuore della stampante 3D, completamente autocostruibile ed open source per scopo domestico: è stato testato per estrudere PLA ed ABS, ma è già pronto per la sperimentazione su polimeri a maggiore temperatura di fusione, come il PET. Si chiama Fe’l.Fil ed è stato realizzato dal Collettivo Cocomeri, un giovane team di eco-designer. Grazie a questo progetto sarà possibile riciclare la plastica utilizzata per stampare, abbattendo costi e scarti, e aumentandone la diffusione su scala globale.
Se non avete capito di cosa stiamo parlando non vi preoccupate. Si tratta di una grande possibilità per il mondo dei maker e di chi usa oggetti come le stampanti 3D. E non è un’invenzione da poco: il progetto vuole consentire a chiunque di realizzare il filamento per la propria stampante partendo da scarti plastici, modelli mal riusciti, imballaggi ed eventualmente anche da semplice pellet. Ovvero produrre nella propria abitazione quel materiale che serve poi per creare quegli oggetti che molti di voi hanno potuto osservare alla Maker Faire o nei tantissimi servizi/articoli in televisione e nei giornali.
Un’azione che è stata sviluppata in ottica di riduzione degli sprechi ma anche di vero risparmio economico per l’utente. Fabrizio Mesiano, uno dei fondatori del Collettivo, ribadisce questo successo: «Siamo orgogliosi del nostro progetto. Non solo per la funzione che svolge, ma più in generale per come è stato costruito partendo da componenti di recupero e semplice minuteria. Il motore elettrico interno, ed esempio, è quello di un tergicristallo d’automobile, recuperato a costo zero da uno sfascia-carrozze. In questo modo si può realmente incentivare l’autoproduzione, e nel prossimo futuro abbiamo intenzione di dare luce ad altri progetti di questo tipo».
L’open design di Fe’l.Fil
Fe‘l.Fil sposa orgogliosamente la filosofia dell’open hardware. La sua natura consente un costante sviluppo di nuove soluzioni migliorative ed eventuali customizzazioni da parte degli utenti. Un processo che vuole far ottenere risultati ancora migliori attraverso il talento e le conoscenze di chi avesse la voglia di mettersi in gioco per migliorare il progetto iniziale.
Fabrizio spiega anche quanto sia importante per il Collettivo Cocomeri diffondere questo tipo di cultura “aperta”: «Si tratta di progettare e sviluppare prodotti per poi rilasciare liberamente in rete tutti i disegni tecnici e le istruzioni per la produzione artigianale o seriale che sia, coprendo il materiale con una delle licenze Creative Commons. In questo modo chiunque sia interessato può replicare il progetto con uno sforzo minimo» Una strategia commerciale agli antipodi, quindi, rispetto ai concetti di brevetto e royalties tanto cari ai designer di una volta e che oggi è un vanto della cultura maker: «I vantaggi sono di varia natura. Per cominciare si evita di dover incorrere in spese ragguardevoli per un brevetto che in ogni caso prevede dei tempi d’attesa piuttosto lunghi. Inoltre la libera circolazione dei progetti permette a chiunque di modificarli in base alle proprie esigenze, con l’obbligo di renderli disponibili a loro volta in rete. In questo modo un buon progetto, anche se acerbo, può maturare per mano di una comunità che contribuisce di volta in volta in base alle proprie esigenze».
Non è certamente la paura di essere “copiati” a fermare questa convinzione. Lo ribadisce Fabrizio Pasquero, responsabile commerciale del Collettivo Cocomeri: «Non solo non ci preoccupiamo di eventuali “copie”, ma viceversa, le vediamo come opportunità. Gli hardware così come i software sottoposti a licenza open impegnano chi li modifica a citare la fonte originale. Dunque, pur avendo qualche mancato guadagno nel breve termine, si ottiene comunque una grande visibilità che, per certi versi, ha un’importanza maggiore».
E non è un caso se l’importanza di questa filosofia sia stata ribadita da Massimo Banzi, co-fondatore di Arduino, in un recente articolo per Che Futuro: «Continuiamo a innovare e vogliamo continuare a spingere i confini di hardware aperto. Come abbiamo fatto in questi 10 anni». E fortunatamente ci sono tanti giovani che continuano a imitarlo.
Collettivo Cocomeri
Il Collettivo Cocomeri nasce nel 2011 all’interno del corso di EcoDesign del Politecnico di Torino. Inizia sviluppando progetti in ambito universitario occupandosi di design di prodotto, riqualificazione urbana, virtual design e video editing, per poi passare ad approfondire tematiche legate all’innovazione nel campo del design, il design per Componenti e il design Sistemico.
È però nel 2013 che, sfruttando le competenze di cinque anni di studi sul Design, si avvicina al movimento maker iniziando lo sviluppo di progetti dedicati e acquisendo il know-how necessario direttamente sul campo. Vengono sviluppati così i primi progetti, spinti dalla volontà di sperimentare un nuovo modo di fare progettazione che sposi design indipendente ed autoproduzione, opensource e tecnologie di fabbricazione digitale e sostenibilità.
Oggi il Collettivo Cocomeri progetta e autoproduce macchinari ad uso domestico per stampare in 3D riciclando la plastica presente in casa. Rilasciano, inoltre, tutti i progetti online attraverso una licenza open. Partiti dalle proprie tesi di laurea magistrale in Ecodesign presso il Politecnico di Torino, in collaborazione con il FabLab Torinese, i vari componenti hanno potuto proseguire nello sviluppo del progetto all’interno di TreataBit, il programma per startup dell’Incubatore del Politecnico di Torino.