Un’inchiesta di Business Insider evidenza il lato oscuro di Joshua Tetrick e della sua creatura: poco di rivoluzionario, messinscene a uso della stampa, scarsa sicurezza e pochi test sui prodotti
Vale la pena tornarci, su certe storie. Perché se se ne è parlato almeno in parte in certi termini e poi saltano fuori elementi che sembrano contraddire profondamente l’iniziale entusiasmo, si ha il dovere di mettere le cose a posto. O almeno darne conto. Ricordate Hampton Creek, la società californiana fondata da tale Josh Tetrick, quella che punta a eliminare le uova dai preparati industriali e, in generale, a fare a meno dei prodotti animali? Tranquilli, è tutto vero. Il punto, però, è che non è così trasparente e lineare come pareva.
L’inchiesta di Business Insider
Un’inchiesta di Business Insider, basata fondamentalmente sulle dichiarazioni anonime di una mezza dozzina di ex dipendenti e lavoratori della società di San Francisco, è infatti andata a fare le pulci alla “rivoluzionaria” compagnia tecnoalimentare. Scoprendo, sempre in base a fonti evidentemente complesse da verificare, che di rivoluzionario non c’è poi molto. Sia in termini di prodotto che di ricerca. Senza contare diverse storture legate ai tempi di produzione, all’affidabilità di quello che finisce sugli scaffali (si parla della mayonese Just Mayo, presente in moltissime catene statunitensi e utilizzata dai negozi 7 Eleven) e alla correttezza dei rapporti di lavoro.
Poco di rivoluzionario, in quei preparati
Ma, polemiche a parte, sono i primi punti a smuoverci particolarmente. Secondo la testata statunitense c’è poco di scientifico, nelle invenzioni di Hampton Creek. Un po’ perché sarebbero state commissionate, almeno nella prima versione, a un’altra società, la Mattson anch’essa della Silicon Valley, un po’ perché, secondo alcuni ex dipendenti, si tratta di “una società alimentare mascherata da tech company”. Si sa, darsi quell’alone garantisce maggiore interesse sotto il profilo degli investimenti. Non è un caso che Tetrick abbia convinto diversi investitori, fra cui il magnate cinese di Hutchison Whampoa Li Ka Shing e, indirettamente, Bill Gates, a sborsare finora 120 milioni di dollari per finanziare la sua creatura, valutata oltre il doppio.
Il punto è che pare ci sia tanta scena, dietro. Troppa. Ai limiti della frode. L’assunzione di precedenti impiegati di Google o lo stesso spaccio del nome del fondatore di Microsoft sul sito ufficiale. Il database dei vegetali analizzati è limitato (al massimo 400 campioni, non certo 4mila come spesso dichiarato) senza contare che, in definitiva, secondo gli ex collaboratori si tratta di amido con proteine del pisello, d’altronde un sostituto diffusissimo nei regimi alimentari : “Josh non ha fatto altro che promuoverla come fosse una straordinaria invenzione”. Anche se sia la testata che gli impiegati ammettono che successivamente di lavoro ne è stato fatto molto e le versioni perfezionate di Just Mayo sono sensibilmente diverse.
Tempi stretti, zero test
Altre faccende stanno rovinando l’immagine di Tetrick e della sua società, balzata per altro agli onori delle cronache a causa della scarsità di uova legata all’epidemia di aviaria negli Stati Uniti, costata l’abbattimento di milioni di galline ovaiole. Proprio le estreme necessità produttive, denunciano gli ex dipendenti, hanno condotto a test insignificanti e troppo brevi (appena un mese) sulla tenuta del prodotto negli scaffali e sulle sue reazioni all’interno di alcune ricette. Tanto che ai primi tempi Just Mayo si scuriva se utilizzata nelle insalate di mare e assumeva colori e sapori tremebondi in altri impasti. Tutto ciò si è venuto a scoprire solo a consegna avvenute.
C’erano diversi progetti che mi turbavano dal punto di vista etico
“Era davvero inquietante – ha raccontato un dipendente – gli ultimi mesi in cui ho lavorato ad Hampton Creek non ho dormito molto bene. C’erano diversi progetti che mi turbavano dal punto di vista etico”. In definitiva, non solo l’uovo 2.0 non sarebbe quella rivoluzione annunciata su cui Tetrick sta costruendo un’avvincente narrazione ma non si saprebbe nemmeno, fra ingredienti e test, quanto possa essere salutare. Anche se i clienti, raccontano le fonti intervistate, non sarebbero mai stati in pericolo perché lo sviluppo successivo avrebbe eliminato questo tipo di problemi.
La messinscena mediatica
Infine, oltre ad altri aspetti legati all’ambiente di lavoro, la messinscena totale: secondo queste denunce quando investitori, clienti o giornalisti visitavano la sede della compagnia, ad alcuni ricercatori veniva chiesto di improvvisare esperimenti su macchine dall’aspetto avveniristico o utilizzare azoto liquido per aumentare gli effetti scenografici, anche se non aveva nulla a che fare col loro lavoro. Tutto per creare un set da laboratorio che non solo sottraeva tempo alle ricerche che effettivamente si sarebbero dovute svolgere ma che seguiva anche un certo lavaggio del cervello: non pronunciare mai formule come “vegano”, “basato sulle piante” e così via. Un caso che racconta, ce ne fosse bisogno una volta di più, che in certi ambiti la cautela non è mai troppa.