«In Italia siamo legati allo stadio come se fosse un’opera d’arte. Roba che non esiste in nessun’altra parte del mondo. Lo stadio è una funzionalità, altrimenti la Roma dovrebbe giocare al Colosseo». Alla vigilia della finale di Champions League, in calendario domani, sabato primo giugno, tra Borussia Dortmund e Real Madrid a Wembley, StartupItalia ha intervistato Fabio Caressa, giornalista sportivo e storico telecronista di Sky Sport 24.
Fabio Caressa e quelle notti magiche
In carriera ha narrato le imprese ai Mondiali del 2006 e agli Europei del 2020 (giocati nel 2021), prestando la propria voce come colonna sonora di centinaia (migliaia?) di altre partite memorabili. «Il calcio ha iniziato a cambiare circa 15 anni fa, quando grandi gruppi economici hanno iniziato a investire in Inghilterra». Da cultore del calcio (il suo ultimo libro è Grazie, Signore, che ci hai dato il calcio, edito da Sperling & Kupfer) è convinto resti uno sport in grande salute, non certo minacciato dall’emergere di esport e videogiochi.
Calcio, governano i numeri
Il calcio è sport, emozione, tifo, ma anche statistiche e dati. Lo sa bene Fabio Caressa che nei suoi lunghi anni di lavoro ha collezionato uno degli archivi più ricchi che fotografano l’evoluzione di ciascun giocatore, numeri alla mano. E sono proprio i numeri, anche quelli fuori dal campo, a contare sempre di più nella vita delle squadre: si prenda l’esempio dell’Inter, da poco cucitasi sulla maglia la seconda stella, passata nel giro di poche ore dalla proprietà di Suning a quella americana di Oaktree perché la società cinese non è riuscita a restituire un prestito da quasi 400 milioni di euro.
«In passato l’economia del calcio era una cosa a sè. Oggi ci dobbiamo abituare al fatto che con l’ingresso dei fondi di investimento tutto viene riportato a una logica economica. Non deve sorprendere: si sapeva che quello di Oaktree era un prestito a scadenza». Non riuscendo a restituire quella somma Steven Zhang ha passato il testimone a un nuovo socio di maggioranza, cedendogli le quote.
Aziende in campo
«L’economia globale ha portato interessi stranieri nel calcio italiano, legati a logiche aziendali che guardano per forza di cose al fatturato». E non sono soltanto le società a essere inquadrate come multinazionali: anche i top player hanno cambiato pelle. «I calciatori non possono più commettere errori: il fatturato di Ronaldo era la metà di quello della Juve quando giocava a Torino. Questo significa che gli allenatori si trovano ad aver a che fare non con ragazzi, ma con aziende».
Secondo Fabio Caressa l’evoluzione del calcio è recente ed è partita dall’Inghilterra. «Mentre c’era chi suggeriva che il calcio avesse raggiunto il suo apice, gli esperti, quelli seri, avevano capito che lo sviluppo era ancora enorme. E lo è tuttora: il tifoso di calcio spende di più e il movimento si svilupperà in Asia, così come nell’Africa sub-sahariana».
L’AI sta in tribuna
In un periodo dominato dall’intelligenza artificiale, la tecnologica che promette di trasformare ogni lavoro in maniera radicale, abbiamo chiesto a Fabio Caressa se così avverrà anche nel calcio. «Si usano gli algoritmi da tempo. Penso a quelli predittivi nel mondo delle società di scommesse, così come alle analisi che permettono di analizzare le partite. Negli ultimi cinque anni è cresciuto questo fenomeno».
Non ci ritroveremo però un’AI talmente brava a disporre i calciatori in campo da rendere superfluo il lavoro dell’allenatore. «Molti di loro oggi sono in contatto con analisti in tribuna: si sta sviluppando una situazione tale per cui a partita in corso è possibile vedere i punti di forza e quelli deboli, permettendo di modificare la squadra di conseguenza». Un aiuto prezioso, certo. Ma resta imprescindibile quello che Fabio Caressa ha definito «il fiuto dell’allenatore». Il telecronista rimane convinto che l’intelligenza artificiale cambierà il mondo nella misura in cui renderà più veloce l’operatività. «Ma avremo sempre a che fare con le persone».
Il calcio sarà battuto dai videogiochi?
Nel 2021 su StartupItalia scrivevamo dell’annuncio choc per tentare di organizzare la Super League, un campionato riservato alle più importanti squadre del mondo. All’epoca si diceva che lo sport dovesse competere nel settore dell’intrattenimento con Forntite e Call of Duty. Come sono cambiate le cose da allora?
«Era il 2021, piena pandemia – ha commentato Caressa -. La valutazione, ora che l’offerta è così ampia, va fatta sulla qualità dei prodotti. Se quella del calcio resterà alta, allora resisterà alla competizione di qualsiasi altra cosa, come nell’ultimo secolo. Se invece sarà un prodotto di bassa qualità, patirà questa concorrenza soprattutto al livello più basso».
Una delle strategie vincenti per competere a livello internazionale è quella degli stadi di proprietà. Per questo Fabio Caressa ci ha riassunto come vanno letti i bilanci delle società di calcio. «Sono tre le voci da guardare: diritti televisivi, merchandising e match day. Quest’ultimo è la capacità di sviluppare i guadagni nel giorno della partita».
Nell’economia del calcio moderno non può più esistere l’idea di uno stadio che viva (e fatturi) soltanto quando le squadre scendono in campo. «Penso a quello del Real Madrid: sono passati da 65 eventi a 165 eventi all’anno. In Italia è successo lo stesso con la Juve, e infatti ha vinto nove campionati di seguito. Da noi, però, resta su questo tema un ritardo per una questione culturale».
Come si racconta il calcio oggi?
Che il calcio sia cambiato lo si legge anche dai format ormai imperanti sui social. «A Sky siamo stati precursori vent’anni fa, iniziando a essere meno paludati», ha precisato Fabio Caressa. La Bobo Tv è stata per anni un punto di riferimento in Italia, grazie a un approccio spesso senza filtri, con ex giocatori che diventano commentatori virali sui social. In quel mondo web anche il telecronista ha deciso di entrare, aprendo un canale YouTube.
«Era da tempo che volevo farlo. Di solito quando vado nelle aziende spiego che l’errore più grande che possano commettere è resistere al cambiamento. Quello che stavo facendo io stesso non usando i social». Oggi ha più di 350mila iscritti sulla piattaforma. «L’ho fatto per raggiungere più persone e parlare ai giovani». Da esperto di comunicazione sportiva e non solo, ha avuto qualcosa da imparare? «Devo adeguarmi al linguaggio, più diretto, accettando soprattutto il confronto».