Tutto si tiene. Tutto è collegato. È questo l’importante messaggio di fondo che Free Lives, startup videoludica di Città del Capo, ha voluto veicolare nel suo Terra Nil che, come vedremo di spiegare in questa recensione, è ben più di un Sim City “alla rovescia”.
Il sale della Terra Nil
Guardando le immagini o i video di Terra Nil si potrebbe pensare di essere di fronte al classico gestionale in cui, partendo da una terra vergine e incontaminata, bisogna imporsi sugli elementi e sulla natura per creare una società fiorente e imperante.
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Niente di più sbagliato. Terra Nil ci fa atterrare su un pianeta (il nostro) ormai morente, inquinato e avvelenato e ci chiede di sviluppare un ecosistema hi-tech idoneo a ripristinare gli habitat ormai spazzati via dall’opera umana.
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Ogni quadro richiede di riportare in natura sei specie native, ma per farlo bisognerà lavorare sodo, ripristinando quei delicati equilibri (temperatura e umidità su tutti) che consentivano alla vita di prosperare. Purtroppo il pianeta in sé non si rivela troppo difficile da gestire: una volta soddisfatte le richieste, insomma, tutto si stabilizza e fila liscio come l’olio e noi non dovremo più metterci mano, bisognerà solo passare alla sfida successiva.
E questo è un gran peccato, perché gli ecosistemi in natura rispondono a migliaia di parametri e variabili, mentre in Terra Nil questo aspetto viene eccessivamente semplificato. Di fatto, la vera sfida è all’inizio di ciascuno stage, quando bisognerà farsi bastare le poche risorse a disposizione per iniziare l’opera di bonifica.
I completisti comunque apprezzeranno le sfide offerte in ciascun bioma dalle sfide secondarie, mentre chi ci gioca su Switch difficilmente lo farà in modalità portatile: la grafica è davvero troppo stilizzata e pensata per essere proiettata su di un grande schermo per riuscire a capirci qualcosa.