È facile perdere di vista il ruolo che gli esseri umani possono svolgere nell’era dell’Intelligenza artificiale. La tecnologia non avanza da sola. Le reti neurali possono essere potenti e imperscrutabili, ma sono creazioni umane. Sebbene la progettazione e l’addestramento di una rete neurale differiscano dalla programmazione di un software tradizionale, il ruolo degli artefici umani è cambiato, non scomparso. Le persone etichettano gli insiemi di dati nei sistemi di apprendimento supervisionato, progettano gli algoritmi all’avanguardia che imparano dai dati, fissano gli obiettivi cui vengono ottimizzati questi algoritmi e costruiscono i chip sempre più piccoli e sempre più veloci che fanno funzionare tutto questo.
Il motore fondamentale del progresso dell’Intelligenza artificiale rimane il talento umano, quantomeno nel prossimo futuro. La sfida che ogni nazione deve affrontare è la seguente: i talenti dell’AI scarseggiano. Il primo compito di una democrazia nell’era dell’IA dovrebbe essere quello di sviluppare, attrarre e trattenere i migliori scienziati dei dati, sviluppatori di algoritmi e ingegneri di semiconduttori.
È un compito incessante. Al momento i numeri mostrano che le democrazie, soprattutto gli Stati Uniti, sono in vantaggio. La Cina produce quasi un terzo dei talenti globali dell’Intelligenza artificiale a livello universitario, ma secondo le stime il 59 per cento di queste persone finisce per lavorare o vivere negli Stati Uniti. Più in generale, quasi il 60 per cento di tutti gli scienziati informatici e gli ingegneri elettrici impiegati negli Stati Uniti proviene dall’estero, compreso il 40 per cento circa della forza lavoro degli Stati Uniti nel settore dei semiconduttori.
L’istruzione è un vantaggio chiave per attrarre talenti, e gli Stati Uniti sono in testa. Non a caso, nelle università statunitensi gli studenti internazionali rappresentano i due terzi dei laureati nelle discipline attinenti all’Intelligenza artificiale, e nella Silicon Valley quasi due terzi della forza lavoro nel campo dell’IA sono nati all’estero. Ogni professionista dell’Intelligenza artificiale ben istruito e formato che vive e lavora negli Stati Uniti è una vittoria netta per la democrazia americana e una perdita netta per le autocrazie che avrebbero potuto accoglierlo.
La competizione geopolitica è intensa, e le democrazie non devono lasciare che il desiderio di attrarre i migliori talenti le renda cieche dinanzi ai rischi. Alcune persone arriveranno negli Stati Uniti o in altre democrazie con l’intenzione di nuocere, in primo luogo rubando segreti per conto di agenzie di intelligence o società straniere. Nel 2020, per esempio, i Paesi Bassi hanno portato alla luce una sofisticata operazione di spionaggio russo volta ad acquisire le informazioni della nazione sui chip e sulla tecnologia IA. Allo stesso modo, i programmi di trasferimento tecnologico cinesi sono multiformi e dissolvono il confine tra mezzi leciti e illeciti al fine di ottenere accesso a informazioni sensibili. Per esempio, la Cina sfrutta i portafogli di investimenti delle sue imprese statali e la loro posizione nella filiera produttiva tecnologica globale per ottenere accesso a dati e proprietà intellettuale. Questa attività insidiosa è destinata a proseguire e le democrazie devono collaborare con i loro alleati, le loro aziende e le loro università per contrastarla.
Le democrazie devono bilanciare l’esigenza di sicurezza della ricerca con l’imperativo di portare sulle loro coste talenti e fondi in grado di inventare l’AI del futuro. Harari e altri sostengono che sia la centralità dei dati nell’Intelligenza artificiale a conferire un vantaggio alle autocrazie. A loro avviso, sarà facile per i regimi autocratici raccogliere informazioni sui propri cittadini, sia per scopi nobili, come far avanzare la ricerca medica, sia per scopi repressivi come la sorveglianza. Le democrazie, per contro, saranno ostacolate da leggi e politiche che metteranno un freno a ciò che l’Intelligenza artificiale è in grado di fare per le loro società. Di conseguenza, secondo questa linea di pensiero gli Stati Uniti e i loro alleati dovranno rinunciare a molti dei vantaggi sociali oppure abbandonare i loro valori fondanti per portare a pieno compimento le potenzialità tecniche.
Le democrazie possono scegliere una strada migliore. La tecnologia non è deterministica: modella e viene modellata dalle scelte umane e dalla società. Le democrazie non devono allontanarsi dai loro valori fondamentali, ma abbracciarli e cambiare la traiettoria dell’Intelligenza artificiale.
La tesi di Harari regge solo se i dati sono il fulcro dell’apprendimento automatico. Ma l’idea dei dati come del nuovo petrolio – una risorsa che conferisce un vantaggio geopolitico incomparabile a chi la possiede – è troppo limitante. Ciò che conta non è solo la quantità di dati, ma anche la loro qualità e varietà. Le prestazioni e l’utilità dei sistemi di Intelligenza artificiale variano a seconda del contesto, e l’importanza dei dati per i sistemi di apprendimento automatico dipenderà dall’applicazione specifica. Sebbene i dati rimangano di vitale importanza per alcuni metodi di apprendimento automatico, in particolare per l’apprendimento supervisionato, molti altri sistemi all’avanguardia non richiedono enormi quantità di dati etichettati.
A conti fatti, le democrazie hanno carte migliori da giocare di quanto lascino intendere Harari e altri osservatori. La loro abilità naturale nel reclutare e formare talenti renderà più efficace ogni singola componente della loro strategia di Intelligenza artificiale. Le democrazie possono contare su solidi vantaggi tecnologici e opzioni percorribili per sfruttare appieno ciò che dati, algoritmi e potenza di calcolo hanno da offrire alle loro società. Così facendo, le democrazie possono plasmare il percorso tecnologico che l’Intelligenza artificiale intraprenderà, indirizzandone la crescita lungo un sentiero che rafforzi anziché indebolire i valori democratici.
Il quadro geopolitico è più complesso ma ciononostante promettente. Le democrazie godono di chiari vantaggi strategici che possono sfruttare collaborando tra loro, per esempio attraverso potenti alleanze che conferiscano loro una forte influenza sulla filiera produttiva dei semiconduttori. Nelle applicazioni militari dell’Intelligenza artificiale, i principi etici e le preoccupazioni relative all’affidabilità imporranno talvolta alle democrazie di essere meno aggressive delle autocrazie. Ma questi compromessi non sono una novità. Nell’intelligence, per esempio, le democrazie limitano in parte i loro sforzi di acquisizione delle informazioni per tutelare alcuni aspetti della privacy.
In guerra, le democrazie accettano di limitare la loro linea di condotta per rispettare il diritto internazionale. I decisori politici dovranno fare scelte difficili ma, con il giusto impegno e la giusta prospettiva, ce la faranno.
Ciò che manca ancora alle democrazie, e soprattutto agli Stati Uniti, è un opportuno senso dell’urgenza, della strategia e della costanza. In quasi tutte queste aree, nella migliore delle ipotesi il lavoro da fare è allo stadio embrionale.
Per attrarre talenti, gli Stati Uniti se la sono cavata quasi interamente grazie alla reputazione e agli investimenti passati, nonostante il resto del mondo si sia dato moltissimo da fare per accorciare le distanze. Il governo ha investito ben poco nell’Intelligenza artificiale, perdendo più volte l’occasione di rafforzare la ricerca sul campo e di ampliarne l’accesso, e all’estero ha sprecato l’opportunità di fissare le norme e gli standard globali. Anche nelle aree di relativo successo – come la creazione del Joint AI Center ad opera del Dipartimento della Difesa – resta ancora molto da fare per migliorare la robustezza, l’affidabilità e gli standard.
A rendere particolarmente dannosa la mancanza di senso dell’urgenza sono le prospettive di crescita delle capacità dell’AI. I parametri tecnologici mostrano la forza crescente della combinazione di dati, algoritmi e potenza di calcolo. Molti governi, non ultimo quello degli Stati Uniti, si sono scoperti male equipaggiati e incapaci di tenere il passo con l’incedere dell’era dell’Intelligenza artificiale. Sono governi lenti nell’affrontare i problemi trasversali del momento, lenti nel riconoscere che il fulcro dell’invenzione si è spostato verso il settore privato sotto molti aspetti chiave e lenti nel tornare a prendere l’iniziativa. Se la crescita esponenziale di dati, algoritmi e potenza di calcolo continuerà, i costi della procrastinazione di una strategia significativa aumenteranno di giorno in giorno e di anno in anno.
Il nuovo fuoco arde, il combustibile abbonda e la gamma dei possibili scenari è vasta. Alcuni intendono servirsene per illuminare un nuovo cammino per la civiltà. Altri vogliono brandirlo, preparando le fiamme di una guerra che sperano di non dover mai combattere. Altri ancora cercano di arginarlo, mettendo in guardia il mondo dalle insidie di una conflagrazione incontrollabile. E altri – troppi – lo ignorano, troppo presi da altre preoccupazioni per scorgere le opportunità e i pericoli che hanno davanti agli occhi. Il nuovo fuoco stupisce per la sua complessità e il suo potenziale. L’Intelligenza artificiale solleva quesiti più fondamentali e più filosofici rispetto alle solite questioni che dominano la geopolitica. Ci obbliga a rivalutare concetti importanti, come l’intelligenza e la comprensione. Rimodella, nel bene e nel male, gran parte di ciò che tocca. Ma se ci concentriamo solo sul fuoco e sulle danze delle sue fiamme ci dimentichiamo delle persone che rimangono nell’ombra. Sono queste persone a dover decidere come custodirlo. La quantità di luce, calore e distruzione portata dal nuovo fuoco dipende da loro. Dipende da noi.
***
Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare”, Ben Buchanan e Andrew Imbrie – tra le menti dell’Ordine esecutivo sullo sviluppo e l’uso sicuro dell’IA firmato da Joe Biden – riflettono su guerra, pace e democrazia alla luce della rivoluzione in atto. Individuando inaspettati vantaggi per le democrazie con un estratto del loro libro Il nuovo fuoco, edito da Egea.