Non tutti i giorni ci si imbatte in un unicorno. Se sei un investitore può essere l’incontro della carriera. «Una volta che hai a che fare con persone come Alberto, qualunque cosa abbiano in testa è difficile non investire. A distanza di dieci anni faccio ancora fatica a trovare team di quel livello». Antonio Assereto, Founder di Proximity Capital, ci parla di Alberto Dalmasso, Ceo di uno dei pochi unicorni che abbiamo Italia, Satispay. Nel 2014, quando la fintech valeva appena 15 milioni (nel 2022 ha superato la soglia del miliardo), ha partecipato al primo round con un ticket da mezzo milione. Era un altro mondo, ma è proprio questa storia che si aggiunge alla rubrica dei protagonisti del mondo VC a mostrarci quanto nell’ecosistema contatti, incontri e vicinanza facciano la differenza.
Passione da business angel
Nato in Liguria, in provincia di Savona, Antonio Assereto si è poi spostato a Milano per studiare ingegneria gestionale. «La mia prima esperienza è stata in Accenture. Primi anni 2000. Mi piaceva la consulenza strategica. Poi mi sono spostato in Bain & Company, dove ho trascorso un periodo davvero formativo». Negli anni della crisi economica si è specializzato nei non performing loan, mentre iniziava le prime attività come business angel.
Come dicevamo: i primi anni Dieci erano un altro mondo, lo Startup Act qualcosa ancora per pochi e il termine startup certo non così attrattivo. «Mi sono appassionato di investimenti, ho fatto una ricerca: c’era il settore del Venture Capital che andava forte negli USA, con grandi ritorni generati da aziende hi tech che crescevano tantissimo». A posteriori potremmo pensare che fosse in realtà facile interpretare i segnali: eppure, come spesso accade, in Italia in pochi li hanno captati per tempo.
Nel 2014 Assereto ha fondato Proximity Capital, società VC che finora ha investito circa 60 milioni di euro in 25 startup. «Quello che ha scritto Draghi nel suo rapporto sulla competitività dell’UE è il risultato di questi anni. La Silicon Valley ha spinto e le principali aziende sono finanziate dai venture. Quando ho cominciato questo lavoro mi piaceva incontrare giovani che avevano voglia di fare». Tra questi c’era appunto Alberto Dalmasso.
La prima volta con Satispay
«Ricordo di aver fatto vedere la loro soluzione al bar ad alcuni amici. Ci mandavamo soldi via smartphone. Un metodo per scambiarsi soldi peer to peer. Ci vuole fortuna, ma è stato prezioso aver parlato con le persone». Networking che favorisce gli incontri di valore. «Quella di Satispay è stata una cavalcata eccezionale. Quando ho parlato con Dalmasso la prima volta mi hanno colpito determinazione, lucidità ed etica. Diceva cose incredibili, voleva far concorrenza alle carte di credito. Aveva studiato talmente bene da esser convinto che ci fosse uno spazio».
Come abbiamo avuto modo di ascoltare da lui stesso nel podcast Vite Straordinarie, Dalmasso ha mantenuto questo approccio da startup, per continuare a crescere. «Quello che mi sorprende di loro – spiega Assereto – è la capacità di alzare il livello». Serve fare evangelizzazione per trasferire una simile determinazione. Ma come ci confida l’investitore non tutti mirano all’unicorno. «Di recente ho incontrato una startup: mi hanno detto che puntano all’exit veloce. Ma è irrilevante: magari per un singolo sono tanti soldi, ma non per l’ecosistema».
Dove sbaglia l’Europa
Ad oggi Proximity Capital ha investito 22 milioni in Satispay. «Una volta ho incontrato fondatore di Rocket Internet e mi sono lanciato nel classico elevator pitch. Mi ha detto: “Quando trovi la startup buona devi caricare”. Ci sta dando ragione». La fortuna di essere inciampati in un unicorno del genere, in qualche modo, va creata.
Nel corso dell’intervista è stato citato più volte il rapporto Draghi sulla competitività. Un documento ambizioso che, secondo la maggior parte degli analisti, rimarrà inapplicato. «Negli ultimi 10 anni la sezione di ricavi derivanti da tecnologia sono passati dal 30 al 38% negli USA, mentre per l’UE sono scesi dal 22 al 18%. La direzione in cui vanno gli Stati Uniti è creare valore proprio per investire in tecnologia».
Tanto si discute di ecosistema europeo, di attirare gli investimenti esteri in Italia. Eppure la sensazione è che siano poche le aziende (e le città) che nel Vecchio continente rimangono competitive su tecnologia e innovazione. «Draghi dice che siamo arrivati a un punto in cui o investiamo per creare benessere oppure siamo destinati a essere marginali nel mondo».