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Non si parla abbastanza della violenza esercitata attraverso il denaro, una forma di abuso subdola in cui si viene piano piano private dell’indipendenza economica, in cui si finisce per elemosinare al partner gli spiccioli per le necessità quotidiane, si è controllate ossessivamente nelle spese, ostacolate nel mantenere il proprio lavoro e isolate nell’accudimento della famiglia e nella cura della casa, uniche attività ammesse. Chi l’ha vissuta sa tracciare perfettamente quell’escalation che, a partire dai primi controlli sullo scontrino della spesa, degrada poi nella rovina economica e nell’isolamento sociale, mentre chi la sta vivendo fatica a metterla a fuoco, perché quella che passa attraverso il denaro è una formula nebbiosa di abuso. Quel convincerti a non studiare o a non lavorare mettendoti pressione è, infatti, spesso spacciata per una forma di amore, di premura, di attenzione: all’inizio ti lusinga, poi ti confonde, quindi si manifesta per la ragnatela che è. 

L’importante della sentenza della Cassazione

È per questo che la sentenza della Corte di Cassazione che ha appena riconosciuto la violenza economica come una forma specifica di violenza ne è un antidoto potente. Poiché nel nostro ordinamento non esiste esplicitamente la violenza economica, la sentenza ha richiamato il diritto internazionale e la Convenzione di Istanbul per pronunciarsi sul caso di un uomo condannato per maltrattamenti verso la moglie durati vent’anni, la quale ha spiegato che lui, oltre ai maltrattamenti, le impediva di frequentare percorsi di formazione e di lavorare perché voleva che si dedicasse tutta ai figli, invece poi la faceva lavorare nella sua impresa senza pagarla o senza condividerne gli utili.

Il 33% di chi subisce violenza in casa non ha un lavoro

Dentro tutte le varianti di malamore, questa compresa, finiscono spesso persone insospettabili: professioniste, casalinghe, studentesse, donne mature e ragazze acerbe, mogli mansuete e mogli che potrebbero non avere bisogno della protezione di nessuno. Con una differenza: le donne che possono contare sull’autonomia economica, per quanto modesta, possono prima e più facilmente sottrarsi al partner che le guasta, possono andarsene. Prendere botte in casa e dipendere economicamente da chi te le dà è una trappola che non può dare vie di scampo: del resto, sappiamo che il 33 per cento di chi subisce violenza in casa non ha un lavoro, dunque è a reddito zero (fonte: Rete nazionale antiviolenza Di.Re), e che una situazione di sofferenza economica riguarda il 74% delle donne che si rivolgono a un centro antiviolenza (fonte: Istat). 

Siamo il Paese UE con il più basso tasso di occupazione femminile

Educare al lavoro e all’indipendenza economica dovrebbe essere la normalità. “Una donna deve avere soldi e una stanza tutta sua se vuole scrivere romanzi”, scriveva cento anni fa Virginia Wolf, a intendere che deve possedere autonomia e indipendenza se vuole rivendicare il suo diritto alla parola. Ancora oggi nel nostro Paese, invece, troppe donne che vorrebbero lavorare non riescono a farlo (siamo il Paese UE con il più basso tasso di occupazione femminile), troppe non guadagnano o non lo fanno abbastanza, ancora troppe non hanno un conto corrente intestato solo a se stesse. Le ricerche dicono, poi, che siamo scaltre nel fare quadrare il bilancio domestico, ma appena c’è da decidere un investimento finanziario passiamo la mano a un uomo, perché lì, più in alto della destrezza domestica, non ci sentiamo capaci o legittimate. 

Oggi abbiamo questo tormentato rapporto con il denaro perché ci è mancato il tempo, l’allenamento delle generazioni: prima dell’approvazione del nuovo codice di famiglia, nel 1975, se una donna aveva a che fare con il denaro era unicamente perché il denaro l’aveva il marito e l’autorizzazione del marito era necessaria per qualunque atto riguardasse lei e i beni materiali, poiché una donna non era considerata in grado, a causa della sua natura emotiva, di gestirli. 

Doppia partecipazione e responsabilità condivise

Adesso il tempo ha cambiato verso e ci corre incontro: la famiglia basata sull’uomo come unico percettore di reddito è stata superata perché non più sostenibile, a vantaggio di una famiglia dalla doppia partecipazione e dalle responsabilità condivise. Ora si deve cambiare tutto: dobbiamo resettare la relazione con il denaro e smetterla di dire che l’economia non ci piace, dobbiamo sfilarci da quel fastidioso prurito che ci procura ancora il parlare di soldi e dirci serenamente in faccia che anche il denaro può essere uno specchio in cui ci si può guardare. Contare sulla propria autonomia economica significa avere una chiave per accedere al mondo, poter mettere in discussione le cose, vivere assumendosi la piena responsabilità di se stesse, allargare il perimetro della propria identità, dire di no. E, non appena il malamore sta costruendo in casa la sua trappola, si può prendere la porta e andare via per sempre, o dire a lui di farlo.