Carolina è figlia di una famiglia di grandi imprenditori, quelli del Caffè Vergnano. E il suo sogno è sempre stato uno: entrare a far parte dell’azienda. Si laurea, va all’estero, ottiene un lavoro in L’Orèal a Parigi e poi ecco che arriva l’occasione: in Vergnano si libera un posto. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, quella giovane ragazza in azienda non ci finisce perché fa parte della famiglia, anzi. Per lei entrarne a far parte è un sogno nel cassetto. Così, dopo altre esperienze, quando le si presenta l’opportunità non la rifiuta. Rinuncia alla tour Eiffel e ai boulevard per tornare a Santena, a due passi da Chieri (Torino), dove oggi si produce il caffè Vergnano. Qui il suo bisnonno Domenico nel 1882 aprì una piccola drogheria, inconscio del fatto che sarebbe diventata un’azienda da un fatturato di 124,7 milioni di euro. Anche grazie a Carolina, che senza paura e con tanto entusiasmo ha preso le redini di quella che è considerata la più antica grande torrefazione d’Italia. Dopo 3 generazioni a guida maschile.
La sua storia nella nuova puntata di Unstoppable Women.

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Carolina, come ci si sente a essere la prima donna dopo 3 generazioni alla guida di un’azienda così conosciuta?
Anzitutto vorrei precisare che siamo una famiglia alla guida dell’azienda. E si, oggi siamo alla terza generazione e abbiamo vissuto un’evoluzione importante. L’intento è stato quello di far dialogare più voci in un team “multietà” che funziona. Certo, a volte non è semplice, ma essere dove sono adesso è sempre stato il mio sogno.
Quando sei diventata CEO e quali ricordi hai di quel momento?
Quando Coca Cola-HBC ha acquisito il 30% dell’azienda. Me lo ricordo benissimo: eravamo in sala riunione con i delegati delle due parti e mi hanno nominata CEO. Io ero talmente impegnata nel chiudere la negoziazione che mi è sembrato quasi una formalità, mi ci è voluto del tempo per rendermi conto di quello che era successo. In famiglia siamo un gruppo di lavoro che guarda nella stessa direzione e pensiamo a mettere in campo le migliori strategie assieme, all’esterno questo è solo un titolo. Ho sempre sentito la necessità di non lavorare solo per l’oggi, nel breve termine, ma anche immaginando l’azienda del futuro. Ed è stata una sensazione che si è tradotta in senso di responsabilità, con l’onere di accelerare la mia crescita personale. Allora avevo 40 anni, ora ne ho 44 e sono la più giovane donna in azienda. La mia spalla destra è mio fratello, che è il presidente.
Quali sono le maggiori difficoltà che hai dovuto affrontare?
Devo dire che non è stato un inizio facile: la mia nomina ha coinciso con clamorosi rincari nei costi del caffè, che ha vissuto una curva la quale continua a rimanere alta. La sfida non è solo stata sedersi a tavola con nuovi partner, ma anche cercare di navigare la più grande crisi che il caffè abbia mai visto. Nel mio primo anno da CEO il primo bilancio è andato in perdita, ma era anche chiaro che in sei mesi non potevo avere impattato più di tanto. Poi ci siamo chiesti: “Dove vogliamo andare? E dove vogliamo portare questa azienda?”. E assieme abbiamo scritto quello che doveva essere la nostra visione di crescita futura e assestamento. Abbiamo girato le spalle e iniziato a guardare ogni singolo pezzo di questa azienda.
Quindi c’è stato bisogno di ripensare anche il vostro stesso business model?
In qualsiasi contesto competitivo oggi si generano risorse in modo differente. Tutto sta nel mettere le persone giuste al posto giusto, ripensare i processi e rendere la struttura il più snella possibile. Nel nostro caso tutto questo è stato accelerato dal fatto che ci si trovasse di fronte a un momento molto tosto. E per come sono fatta io, è stato essenziale viaggiare e conoscere altri mercati per arrivare a definire la strategia giusta.

Qual è il tuo background?
Io sono nata a Chieri, in provincia di Torino. Dopo il liceo classico, durante il quale mi sono sempre sentita un po’ indietro rispetto ai miei compagni e non ho affrontato con tanta serenità, sono partita 6 mesi per l’Australia senza parlare inglese. Ma mi piacciono le sfide. Poi ho iniziato a studiare all’Università, ho partecipato al progetto Erasmus e sono entrata in L’Orèal a Milano come stagista. Durante questo periodo mi è stato proposto un colloquio per la sede dell’azienda di cosmetica in Francia, a Parigi. Poco dopo aver firmato il contratto mi ha chiamata mio padre dicendomi che in azienda si era aperta una posizione nel settore export. Allora ho dovuto fare una scelta, non facile, ma io ho sempre voluto lavorare nel caffè, sapendo che non ci sarei mai entrata per cognome ma per opportunità. E quell’opportunità non volevo lasciarmela scappare.
E così sei tornata in Italia…
Esattamente, a 24 anni. Ma sono molto felice e soddisfatta del mio percorso, non cambierei neanche una virgola di quello che ho scelto. Una passione è un po’ come una fede: o ce l’hai o non ce l’hai, e se ce l’hai non la tradiresti mai. Oggi, invece, vedo tanti giovani spaesati, che non sanno che direzione prendere e saltellano da destra a sinistra, ma sono convinta che sia, invece, la profondità nelle scelte che si fanno a fare la differenza. E poi ci si può sempre “reinnamorare” della stessa realtà a distanza di tempo, oppure cambiare percorso. Insomma, anche se sembra più facile cercare emozioni a destra e a sinistra, è poi la dedizione e l’amore che metti in qualcosa che ti fa andare avanti.
Hai mai accusato episodi di gender gap?
Molto spesso, e anche oggi. In Italia, per esempio, si fa molta fatica a fidarsi di un giovane, ma io ho cercato di vivere questi momenti come opportunità per fare meglio. Ricordo, 20 anni fa, la prima visita in uno dei nostri coffee shop. Per noi è una prassi al fine di studiare come migliorare il nostro modello. Così mi sono recata, molto umilmente, nel negozio; in quell’occasione si doveva allestire una tavola. Quando ho iniziato a preparare gli scaffali, il proprietario del locale ha cominciato a mandarmi gente e a trattarmi come se fossi stata capace di fare solo quel lavoro, mentre, in realtà, io ci avevo parlato anche da un punto di vista commerciale. Ci sono rimasta molto male ma, allo stesso tempo, quell’episodio mi ha dato uno slancio in più.
Oggi che consigli daresti a una giovane imprenditrice che si sta approcciando a questo settore?
Le direi che, anzitutto, deve essere la prima a dare il buon esempio. Poi di non essere femminista, perché non fa bene alla categoria. Infine, di dare opportunità a chi se le merita. La meritocrazia non è una questione di genere nè di sesso nè di età. Nonostante le difficoltà, un approccio meritocratico e oggettivo premia sempre. Io, almeno, questo è quello che ho imparato e di cui sono fermamente convinta.