Il rapporto dell’osservatorio dedicato del Politecnico di Milano scatta una fotografia globale: 4.909 realtà mondiali, la parte del leone la fa il Nord America. Fra i settori più coperti accesso alle risorse e produttività
Alle difficoltà dell’emergenza Covid-19, fatta di sprechi e pesanti ricadute sulla filiera, imprese, terzo settore, enti pubblici e startup hanno fatto squadra riscoprendo il peso della “filiera corta” ma anche l’importanza dell’imballaggio per tutelare la sicurezza del cibo e rendere tracciabili i prodotti e il percorso compiuto fino alla nostra tavola. L’agritech esce dunque dalla fase acuta della crisi con l’opportunità di ripensarsi in una logica ancora più sostenibile, anche grazie al contributo delle startup del settore.
I dati dell’Osservatorio Food Sustainability
Secondo una ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano, presentata al convegno online “La sostenibilità vien innovando! Informazione e circolarità, Chiavi di volta per una filiera più sostenibile e inclusiva”, le startup internazionali dell’agroalimentare nate fra 2015 e 2019 sono ben 1.158. Sono dunque il 24% delle 4.909 startup agrifood complessive che, nel 39% dei casi, hanno ricevuto almeno un finanziamento per un totale di 2,3 miliardi di dollari raccolti. L’Italia, con 53 startup attive sul tema di cui solo sette sostenibili, sfoggia un mercato ancora limitato per 300mila dollari appena di finanziamenti, lo 0,01% del totale. C’è insomma molta strada da fare.
Perego: “Dare spazio a soluzioni innovative”
“L’emergenza Covid19 ha evidenziato quanto sia importante fornire agli attori della filiera gli strumenti e le conoscenze necessari per garantire la buona tenuta del settore, anche di fronte a forti criticità e trasformazioni sistemiche, che è anche la mission dell’Osservatorio Food Sustainability – spiega Alessandro Perego, direttore del Dipartimento di ingegneria gestionale e responsabile scientifico dell’Osservatorio – le imprese agroalimentari sono chiamate a dotarsi di buone pratiche e avvalersi di partnership solide, sia di filiera che cross-settoriali, e rivedere i processi interni, se non interamente il proprio modello di business, in un’ottica di maggior sostenibilità e resilienza, dando spazio a soluzioni innovative. L’innovazione, promossa dalle nuove startup sostenibili, in crescita di quasi il 40% rispetto allo scorso anno, può essere una leva importante per rispondere alle attuali sfide del settore, trasformando le difficoltà in opportunità di sviluppo sostenibile”.
Di cosa si occupano le startup internazionali
Ma di cosa si occupano esattamente le startup agrifood globali? Anzitutto, l’impegno per migliorare accesso alle risorse produttive, lo sbocco sul mercato e il reddito dei piccoli produttori (245 startup). Poi l’aumento della produttività e della capacità di resilienza dei raccolti ai cambiamenti climatici (177 startup) e la riduzione di sprechi e eccedenze alimentari lungo la filiera (136). Seguono la gestione più efficiente delle risorse naturali utilizzate nei processi produttivi (128), le azioni per minimizzare l’impatto ambientale delle sostanze chimiche impiegate in agricoltura e dei rifiuti prodotti (96), garantire a tutti l’accesso al cibo (69 startup) e l’ottimizzazione dell’uso delle risorse idriche (64). Chiudono la classifica degli obiettivi di sostenibilità più perseguiti la conservazione, il ripristino e l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri e d’acqua dolce (56), la sensibilizzazione a stili di vita più sostenibili (23), la promozione di infrastrutture verdi (22) e il riciclo e il miglioramento della qualità dell’acqua (22).
Nord America in testa per finanziamenti
In termini di aree più attrattive spicca senza sorpresa il Nord America che, trainato dagli Usa, si conferma la prima area del mondo sia per investimenti complessivi, pari a 1,7 miliardi di dollari, che per finanziamento medio, equivalente a 7,2 milioni di dollari. L’Europa è la seconda area per capitale totale raccolto ma a grande distanza, con 312 milioni, davanti all’Asia (308 milioni), ma le startup asiatiche raccolgono in media 4,2 milioni, contro i 2,7 delle europee. Crescono il fermento imprenditoriale e i finanziamenti anche in Oceania (33 milioni, con una media di 3,7 milioni a startup), Sud America (19 milioni, 1,3 milioni a startup) e Africa (17 milioni e media di 1,9 milioni a startup).
Le specializzazioni
Quanto alle tecnologie, quasi quattro startup sostenibili su dieci sono offrono servizi che analizzano dati e monitorano le prestazioni attraverso dispositivi smart per ottimizzare le attività agricole e ridurre gli sprechi (456 startup, il 39% del totale); una su cinque si occupa di trasformazione degli alimenti e punta su ingredienti naturali e cibi proteici alternativi (231 startup, il 20%); il 15% (179 startup) fornisce invece tecnologie per l’agricoltura di precisione e propone soluzioni per la coltivazione idroponica.
“Le startup puntano sempre di più a soluzioni innovative per spingere la transizione a sistemi di produzione più sostenibili e a modelli di consumo responsabili – commenta Paola Garrone, responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability – a livello internazionale crescono i finanziamenti complessivi alle startup sostenibili ma si registra un forte calo del capitale mediamente ricevuto dalle singole realtà (-17% negli Usa). I principali promotori di innovazione sostenibile si confermano i fornitori di servizi, mentre conquistano terreno le giovani imprese che operano nello stadio della trasformazione alimentare, superando i fornitori di tecnologie, anche se la tecnologia resta un fattore chiave nello sviluppo di nuove soluzioni a supporto della filiera e di prodotti alimentari innovativi”.
Contro lo spreco alimentare
Sul fronte delle eccedenze alimentari, il rapporto segnala per esempio l’esperienza inaugurata a Milano nel gennaio dello scorso anno, al quartiere Isola. Si tratta dell’Hub di quartiere contro lo spreco alimentare, un progetto nato da un protocollo d’intesa tra Politecnico di Milano, comune di Milano Food Policy, Assolombarda Confindustria Milano, Monza e Brianza, Lodi, in sinergia con il programma QuBì – La ricetta contro la povertà infantile – coordinato dalla Fondazione Cariplo, con l’obiettivo di ridurre lo spreco di cibo e l’insicurezza alimentare nell’area urbana di Milano. Il progetto ha creato un sistema operativo di ridistribuzione di eccedenze alimentari donate da una rete di imprese, basato su un hub logistico, per offrire ai beneficiari una fornitura alimentare bilanciata da un punto di vista nutrizionale. Nel primo anno di attività del progetto sono state recuperate oltre 120 tonnellate di eccedenze alimentari, per un valore di quasi 500mila euro, ed è stato recuperato quasi un terzo delle eccedenze generate dai partecipanti della Gdo e ristorazione collettiva. A febbraio 2020 risultavano servite 24 associazioni non-profit, in grado di raggiungere 1.307 famiglie (1.488 bambini e 2.478 adulti).
Le novità per il packaging
Interessanti anche i progressi sul packaging, le cui ricadute vanno spesso ben oltre la corretta conservazione dei prodotti: “Il packaging ‘parlante’ impatta sulla supply chain in molti modi – spiega infatti Barbara Del Curto, responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability – in primo luogo, sulle operationi: soluzioni smart come i tag Rfid e i sensori possono facilitare una gestione ottimizzata del cibo nei diversi stadi, evitando lo spreco e migliorando tracciabilità, anticontraffazione, conservazione degli alimenti e monitoraggio delle temperature. Facilita, poi, la comunicazione al consumatore delle date critiche e delle altre informazioni in etichetta, utilizzando sistemi di realtà aumentata per costruire un dialogo bidirezionale con l’utente che dura anche dopo la fase di acquisto”. Si diffondono inoltre anche imballaggi che utilizzano nuove tecnologie per il recupero e il riciclo dei materiali per adattarsi ai principi dell’economia circolare, preservare il capitale naturale e ottimizzare il rendimento delle risorse.
La filiera corta: diversi esempi
Infine, sul fronte della filiera corta, l’indagine espone quattro diversi tipi di esperienze, ricavati dall’analisi di 17 realtà dei settori lattiero-caseario, delle carni bovine/suine e salumi. Al modello “downstream oriented” appartengono imprese che a monte integrano un’elevata vicinanza geografica con relazioni molto strette con i produttori, mentre a valle le distanze geografiche e relazionali si allargano, compensate dalla mole di informazioni diffuse tramite il packaging. Il modello “fully integrated” presenta una filiera interamente integrata a monte e uno stretto controllo delle informazioni lungo tutta la rete grazie alle forti relazioni fra operatori. Il gruppo “information-rich” presenta invece una distanza geografica maggiore con gli stadi a monte della filiera, ma investe molto sulla trasparenza delle informazioni attraverso sistemi di gestione integrati con gli allevatori. Il gruppo “end-to-end” è quello con la maggiore attenzione all’integrazione fra prossimità informativa e geografica.