L’intervista all’ex ministro dello Sviluppo Economico del governo Monti. A dieci anni dallo Startup Act il bilancio è positivo. «Occorrerebbe mobilitare strutturalmente una parte del risparmio degli investitori istituzionali e previdenziali verso l’ecosistema»
«Il compito che diedi da ministro alla task force guidata da Alessandro Fusacchia fu proprio quello di studiare le esperienze migliori al mondo in termini di normativa e legislazione sulle startup. Guardammo a Francia, Germania, Inghilterra, Israele, Stati Uniti e anche ad alcuni casi in Sud America. Ma non solo. Il lavoro che riuscimmo a fare fu proprio quello di mettere a confronto le migliori esperienze mondiali». Da quello sforzo si è poi passati all’approvazione del primo pacchetto mai pensato prima per le startup, col quale il governo Monti poneva le basi per lo sviluppo dell’ecosistema. StartupItalia ha intervistato Corrado Passera, Ceo e Founder di illimity, ospite all’ultima edizione del SIOS22 Winter Edition, e che dieci anni fa ricopriva il ruolo di ministro dello Sviluppo Economico.
Nel 2012 venne approvato lo Startup Act, un framework giuridico che ha mantenuto la sua impostazione originaria (arricchita negli anni successivi) per favorire il lancio di aziende innovative nel nostro Paese. «Per startup intendevamo naturalmente le nuove imprese particolarmente innovative», a partire ad esempio dal livello di ricerca e dalla quantità di brevetti depositati. Dieci anni fa, mentre la rivoluzione digitale prendeva già piede all’estero, l’Italia era ancora in una fase embrionale.
“Se la legge è durata nel tempo è perché seguimmo fin da subito il metodo giusto”
«Non c’erano statistiche sulle startup e questo perché non c’era neppure la definizione di startup innovativa». Come è stata poi elaborata, essa “ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico”. In questi dieci anni ne sono nate oltre 15mila che hanno invaso la nostra quotidianità. «Nel 2012 con lo Startup Act – spiega Passera – abbiamo voluto interpretare un bisogno prorompente dandogli contorni e prospettive».
La task force
Nel corso dell’intervista con l’ex ministro ci siamo concentrati sul metodo messo in atto con la task force. Sotto la guida di Fusacchia, operarono figure rimaste poi centrali nell’ecosistema startup italiano: Paolo Barberis, Selene Biffi, Giorgio Carcani, Annibale D’Elia, Luca De Biase, Andrea Di Camillo, Riccardo Donadon, Mario Mariani, Massimiliano Magrini, Enrico Pozzi, Giuseppe Ragusa, e Donatella Solda-Kutzmann. «Se la legge è durata nel tempo è perché seguimmo fin da subito il metodo giusto – sottolinea Passera -. Dovrebbe essere sempre così per le leggi strutturali: capire il bisogno primario, individuare i bisogni delle varie componenti in gioco, andare a vedere come nel mondo si è affrontata la questione, studiare le esperienze internazionali, presentare e condividere le proposte con i vari membri dell’ecosistema per arricchirle e avere un terreno comune».
I contenuti dello Startup Act
Come è stato più volte ribadito nel nostro format Italia22, che ci accompagnato fino alle ultime elezioni politiche, l’innovazione deve essere e rimanere trasversale rispetto alle ideologie. «All’epoca in Parlamento arrivammo con una proposta di legge così condivisa che fu relativamente facile avere una larghissima maggioranza malgrado fossimo un governo dimissionario». Lo Startup Act toccava tanti fronti delicati come il diritto del lavoro, societario e amministrativo, i modelli di incentivazione e di funding. «La cosa più difficile riguardò la parte penale: fatti salvo i casi di dolo, bisognava evitare lo stigma dell’imprenditore fallito: guai a punire chi non ha successo solo perché ha tentato nuove strade e a togliere il supporto e incentivi a chi ritenta nuove strade con impegno e coraggio».
Non poteva valere per le startup quello che valeva per le aziende esistenti. «Per quanto riguarda il lavoro serviva concedere l’opzione di pagare in azioni le persone; occorreva prevedere il crowdfunding per i finanziamenti. Insomma, serviva un ambiente amicale e necessariamente diverso da quello valido per aziende già affermate per chi voleva fare startup». A Passera che oggi guida illimity abbiamo chiesto che aria si respirasse all’epoca: come mai quel governo ha scelto di occuparsi anche di startup in un tornante complesso per la storia d’Italia?
“L’esperienza dei paesi più avanzati dimostra chiaramente che le startup possono giocare un ruolo formidabile”
«Fare politica utile secondo me vuol dire riuscire sempre a combinare la gestione delle urgenze con la visione di lungo periodo. Nel campo specifico dell’economia bisogna ovviamente gestire l’immediato, ma se non si creano i presupposti per la crescita sostenibile nel tempo si rimandano soltanto i problemi. La politica deve occuparsi di creare un futuro migliore e la crescita sostenibile dell’economia è strettamente collegata all’innovazione e in questo le startup giocano un ruolo importante. Il futuro ha bisogno di tanta innovazione e l’esperienza dei paesi più avanzati dimostra chiaramente che le startup possono giocare un ruolo formidabile».
Dove migliorare
Il decennale dallo Startup Act è valso anche come momento per un bilancio sullo stato dell’arte, su quel che funziona e sugli aspetti da migliorare. «Possiamo dire che a questo punto non abbiamo più problemi di normativa – argomenta Passera -, l’impianto fino ad oggi ha retto ed è in linea con molti benchmark internazionali. Forse si potrebbero semplificare ulteriormente alcuni passaggi, come ad esempio le modalità che i privati devono seguire quando investono attraverso un fondo. Si potrebbe, inoltre, premiare fiscalmente di più l’investimento da parte delle corporate. Forse è giunto il momento di fare un testo unico di tutte le normative che si sono susseguite». La questione finanziamenti merita poi un capitolo a parte.
«Il Venture Capital è ancora abbastanza nazionale in quasi tutti i Paesi europei. Germania e Francia hanno fatto molto per dirigere parte dei loro investimenti istituzionali verso le startup. Noi, per ora, meno se guardiamo ai bilanci dei nostri enti previdenziali. E questo ci rende più deboli soprattutto nel finanziamento alla scaleup. Occorrerebbe mobilitare strutturalmente una parte del risparmio degli investitori istituzionali e previdenziali verso l’ecosistema con opportuni incentivi e chiare policy. Nel venture capital – prosegue Passera – serve rafforzare i parecchi operatori nazionali che hanno dimostrato capacità ma non hanno ancora raggiunto sufficienti dimensioni . Al momento ne abbiamo uno di taglia internazionale, che è CDP Venture Capital. Con i giusti incentivi possiamo attirare operatori globali».
Durante la formazione dell’attuale governo, sulla stampa di settore si sono lette diverse critiche rispetto all’assenza di un ministero dedicato all’Innovazione. «Le startup sono insostituibili – conclude Passera – e il ministero delle Startup è stato il MISE che ora si chiama ministero delle Imprese e del Made in Italy. Non mi è sembrato un buon segno declassare il Ministero dell’Innovazione visto i progetti che stava seguendo e il ruolo importante che svolgeva all’interno degli impegni PNRR. Ma il nuovo governo è appena all’inizio del suo viaggio ed è giusto dargli il tempo per misurare le sue priorità. Sono certo che tutti oggi condividano l’importanza delle startup per assicurare la crescita sostenibile del nostro Paese».