Intervista a Massimo Moretti, 63 anni, fondatore dell’italiana WASP. Le sue macchine servono a costruire case con materiali sostenibili. Due di queste sono finite nella pellicola “Black Panther: Wakanda Forever”
Due delle stampanti 3D realizzate a Massa Lombarda, in provincia di Ravenna, sono finite nel set di “Black Panther: Wakanda Forever”, la pellicola Marvel dedicata a uno dei supereroi più votati alla tecnologia. Purtroppo soltanto un occhio esperto potrebbe notare la presenza in scena di un’eccellenza artigianale del made in Italy all’interno del laboratorio di Riri Williams. «Quando ero giovane non c’erano tantissime strisce a fumetti di Black Panther, ma mi piaceva come personaggio». Massimo Moretti, 63 anni, fa tanti mestieri insieme: inventore, tecnologo, artigiano, imprenditore. Nel 2012 ha fondato insieme a un gruppo di ragazzi WASP, società che costruisce stampanti 3D con l’obiettivo visionario di pensare alla casa come diritto di nascita: le loro macchine sono in grado infatti di sfornare abitazioni, utilizzando materiali naturali derivanti dalla ceramica. «Noi lavoriamo per risolvere questo problema, molto più grande di noi. Ma impegnarsi è già una vittoria».
Supereroi e artigianato
La prima domanda che abbiamo fatto a Massimo Moretti è riguardo al suo supereroe preferito. «L’uomo ragno è stato il compagno di vita della mia generazione. Me lo ricordo quando avevo 14 anni. Ed è incredibile che a distanza di così tanto tempo ci abbiamo dedicato molti film». Per un appassionato di manualità e artigianato come lui, come poteva essere altrimenti: Spider Man, in fin dei conti, costruisce trappole e molto altro con una semplice ragnatela, avendo una sorta di stampante 3D incorporata. «Ha un imprinting tecnologico, è un tecnico, un maker a tutti gli effetti».
In questi anni WASP ha realizzato circa 5mila stampanti 3D di grandi dimensioni, partendo ad esempio dalla Big Delta, alta 12 metri. Palazzi per costruire case e abitazioni in un’ottica di sostenibilità, riprendendo non a casa nel nome quel che compie la vespa vasaia, detta anche muratrice perché in grado di modellare il materiale raccolto in natura. Ma cosa ha spinto una persona, a poco più di 50 anni, a imbarcarsi in un’avventura imprenditoriale con un gruppo di giovani designer fra i quali anche la figlia Francesca?
Le origini in Romagna
«Sono nato e cresciuto a Massa Lombarda, un paesino sperduto nella campagna romagnola dove stavi in laboratorio perché non avevi altro da fare». Dimenticatevi i luoghi odierni dell’innovazione, con acceleratori e incubatori dove incontrarsi e avviare progetti. «Nella nostra zona siamo tutti un po’ smanettoni. Il fai da te è diffuso. E il destino ha voluto che cominciassi a lavorare presto, fino a che ho deciso di mettermi in proprio per fare l’inventore». Perito elettronico di formazione, Massimo Moretti ha impiegato buona parte del proprio tempo a costruire. «Ho cominciato realizzando cose che servivano a me. Visto che facevo arti marziali, spinto dall’uomo ragno, ho costruito un pungiball che sfuggiva, per migliorare i riflessi». Si può dire che il laboratorio sia stata anche la sua palestra. «Ho assemblato poi manichini animati per le vetrine degli articoli sportivi. Oscillavo tra quello e l’attività di perito elettronico. I primi 50 anni di vita ho lottato per arrivare a fine mese».
Nel 2011 WASP è nata dall’incontro tra generazioni molto diverse e lontane fra loro. «I ragazzi volevano costruire una stampante 3D, e io ne avevo già assemblata una. Così ci siamo detti: facciamo una stampante per case». Di indole dinamica, è stata un’altra avventura che ha scelto di intraprendere. «Ho visto me stesso in quei giovani. Sono partito dando loro una sintesi della mia esperienza: bisogna darsi progetti grandi. Puoi passare la vita a fare cose piccole, ma se hai un progetto e sei motivato la vita è più interessante».
WASP: scoperta e sviluppo
E così hanno dato il via a una società che in questi anni ha collaborato con brand anche a livello internazionale, per costruire case e immobili partendo da stampanti 3D. «Siamo in una cinquantina di collaboratori, e la metà lavora nel reparto innovazione, che noi chiamiamo scoperta e sviluppo. L’altra metà produce macchine». Sono due i filoni legati ai materiali utilizzati per stampare. «Dai materiali plastici con grande attenzione ai riciclati ci siamo allargati a quelli a base di argilla». Se dieci anni fa questi dispositivi – le stampanti 3D – venivano visti come la frontiera dell’innovazione, oggi hanno perso questo status, sorpassate da altre innovazioni, come l’AI. «Quella visione originaria si riferiva al fatto che ognuno potesse avere una fabbrica personale. Secondo me sono tecnologie che devono ancora inserirsi nel tessuto produttivo, ma cominciamo a vedere i primi esempi. Oggi sono strumenti di lavoro».
Nel mondo le case stampate in 3D si stanno diffondendo con alcuni – rari – esempi, come in California dove l’emergenza abitativa è uno dei problemi politici più gravi. «Ci sono grossi player che stanno partendo con finanziamenti», ha spiegato Massimo Moretti, incoraggiato da questo panorama internazionale in fermento. Lui che ha dato molto nel lavoro, si sente ancora nel pieno delle attività. «Mi sento artigiano, ma sono convinto di una cosa: le scienze umanistiche e quelle tecniche si completano a vicenda».