Emergenza climatica, guerra in Ucraina, pandemia di Covid-19: la somma di questi fattori ha scatenato una crisi agroalimentare drammatica, con i prezzi dei beni di prima necessità alle stelle. Che cosa può fare il settore per reinventarsi?
La copertina di una recente edizione della rivista The Economist ritrae spighe di grano al vento. A un esame più attento, si scopre però che i chicchi sono in realtà dei piccoli teschi. Titolo: “Catastrofe alimentare in arrivo”. Cereali, semi oleosi, carne, latticini, zucchero… I costi di queste materie prime da mesi aumentano a una velocità vertiginosa. Dopo aver raggiunto il massimo storico a marzo, l’indice dei prezzi alimentari dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura è leggermente sceso, ma si attesta comunque al 30% su base annua.
Secondo gli esperti, non essendoci a livello mondiale una scorta sufficiente di beni alimentari di base, i prezzi salgono facilmente in caso di shock. E negli ultimi mesi ce ne sono stati almeno tre: guerra in Ucraina, emergenza climatica, pandemia di Covid-19. Una tendenza che non sembra destinata ad invertirsi, almeno per i prossimi sei mesi.
Crisi agroalimentare: i fattori scatenanti
L’invasione russa dell’Ucraina a febbraio 2022 si è rivelata un fattore esacerbante della crisi. Kiev è tra i principali produttori mondiali di grano e mais, da cui dipendono molti Paesi emergenti, e guida la produzione di olio di semi di girasole, oltre ad essere, come si è scoperto in questa occasione, una grande fonte di giovani talenti per l’industria agtech globale.
La guerra non sta solo paralizzando le esportazioni delle scorte (22 milioni di tonnellate di grano) all’estero, ma anche la possibilità di preparare le future stagioni: gran parte della popolazione ucraina, in particolare gli uomini, è stata coinvolta nei combattimenti e ha dovuto lasciare i campi incustoditi.
Anche la Russia è tra i principali produttori mondiali di grano e, anche in questo caso, il conflitto, unito alle sanzioni economiche internazionali, ha bloccato il commercio. Lo stesso è successo con i fertilizzanti, di cui sia Mosca che Kiev sono grandi produttori. Il risultato? Con il deterioramento della situazione alimentare globale, molte nazioni, tra cui India, Indonesia ed Egitto, stanno avviando politiche protezionistiche per assicurarsi le forniture interne.
Negli ultimi anni anche un clima sempre più instabile si è rivelato problematico per la produzione agricola. Dal 2020, il mondo è nella morsa della Niña, un fenomeno atmosferico periodico, che porta all’interruzione dei normali modelli meteorologici, causando violente tempeste in alcune regioni e siccità estreme in altre, come quella che stiamo vivendo anche in Italia quest’estate.
Oltre alla guerra e al clima, il terzo evento che ha travolto la disponibilità di generi alimentari negli ultimi anni è la pandemia: la diffusione mondiale del Covid-19 ha portato da un lato allo stop di fabbriche e magazzini, dall’altro alla chiusura delle frontiere e delle rotte commerciali. Ne è nata una corsa alle forniture disponibili, che ha determinato l’aumento dei costi.
Cambio di rotta per l’agroalimentare
La crisi in corso rappresenta sicuramente un’opportunità per intervenire e cambiare in meglio i nostri sistemi alimentari. Un tema che va affrontato da un punto di vista politico, ma anche tecnologico. Se nel breve periodo sarà difficile correre ai ripari per tamponare l’effetto di nuovi shock, sul lungo termine diventa essenziale lavorare a un’attenta pianificazione e gestione delle scorte.
Al momento, per esempio, il commercio mondiale di cereali è gestito da un numero ridottissimo di società e, secondo gli esperti, proprio queste catene di approvvigionamento globali e indifferenziate hanno perpetuato la fragilità del sistema generale. Per il futuro, accanto ai grandi commercianti su larga scala, si dovranno sviluppare catene di approvvigionamento alimentare più piccole, differenziate e geolocalizzate.
La tecnologia giocherà altresì un ruolo centrale, offrendo nuove opportunità al settore, come per esempio la ricerca di nuove varietà di colture resistenti alla siccità oppure la disponibilità di strumenti per proteggere i campi dagli eventi atmosferici estremi. Creare una catena di approvvigionamento completamente nuova, resiliente per il futuro, richiederà sicuramente ingenti risorse, ma, oltre a non esserci alternative (se non la catastrofe), gli investimenti non andranno persi. Due i principi da tenere bene in mente: la sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo futuro, in un’ottica di protezione del pianeta e delle popolazioni che ci vivono, e il coinvolgimento diretto dei Paesi in via di sviluppo, attualmente troppo dipendenti dal resto del mondo a livello alimentare.
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