Aiutateci a raccontare le imprese innovative del paese alla vigilia della prova più difficile. Ad aprile avete risposto in tantissimi: vi chiediamo qualche altro minuto
Se avessimo dovuto confrontarci con la pandemia dovuta al coronavirus solo vent’anni fa, lo scenario sarebbe stato completamente diverso. Operazioni oggi semplici come effettuare un bonifico e scaricare una cartella clinica avrebbero richiesto la presenza fisica dell’interessato, con il corollario di code, assembramenti, mascherine calate a metà. Il servizio di food delivery (con tutti gli aspetti problematici che si porta dietro, ma questo è un altro tema) era, allora, affidato alla buona volontà dei ristoratori; per non parlare delle riunioni virtuali con familiari e collaboratori che ci hanno permesso di continuare a lavorare, ma non solo: sono state un antidoto alla solitudine. Nel 2000 erano, semplicemente, impossibili.
Due decenni fa – non moltissimo, quindi – a differenza di oggi, buona parte della popolazione sarebbe rimasta inattiva, in attesa che la tempesta passasse. Non è solo questione di indicatori macroeconomici. Il lavoro è salute. Frustrazione, ansia, stress, oltre a devastanti ricadute sulla ricchezza, avrebbero reso lo scenario molto simile a quello di inizio Novecento, quando a flagellare il mondo fu la famigerata “Spagnola”.
Forse non è banale sottolineare quanta strada abbiamo percorso. Manifatture e fabbriche continuano a funzionare; per i colletti bianchi della pubblica amministrazione e del privato si sta facendo strada il telelavoro (che, con un’ adeguata organizzazione, per la verità ancora poco presente, può addirittura trasformarsi in smart working). La vita, insomma, continua.
Un mondo differente
Il merito di questi cambiamenti che ci hanno reso meno inermi di fronte ai rovesci della sorte – è notizia di questi giorni che un vaccino per il coronavirus potrebbe essere alle porte, dopo meno di un anno: un record – è dell’innovazione, e di chi quotidianamente la porta avanti. Cioè voi.
Le crisi sono spesso occasione di cambiamento, o, almeno, di riflessione. Dopo il 2008, persino un paese tutto sommato poco incline al rischio come l’Italia fu scosso nel profondo. Si incominciò a intravedere sempre più spesso una voglia di imprenditorialità sconosciuta a queste latitudini, dove la cultura del posto fisso e del “tengo famiglia”, oltre a una burocrazia capestro e una corruzione endemica, hanno affossato l’iniziativa individuale. La figura di Steve Jobs incarnò per molti il mito della fenice: cadere, e rinascere dalle proprie ceneri. Jobs era tutto fuorché simpatico: ma per milioni di persone rappresentò lo spirito necessario affrontare un presente difficile. E sperare in un futuro migliore.
Pochi giorni fa, nel corso del Forum sull’Intelligenza Artificiale, Piero Poccianti, presidente di AIxIA, associazione che raccoglie gli operatori del settore, ha affermato che nel 2030 si stima che un terzo dei lavori saranno sostituiti da essa o da qualche ritrovato della tecnologia ancora da conoscere. Contabili, impiegati, operatori di call center, certo: ma anche – pare incredibile – artigiani, la cui opera sarà avvicinata da macchine sempre più precise.
Non sono solo le macchine a minacciare un benessere che, in fondo, è una conquista degli ultimi settant’anni. Nuovi attori si affacciano con forza sul palcoscenico internazionale, altri mostrano i muscoli. La Cina emergerà dalla crisi più forte di prima, l’Africa premerà per godere di una fetta di benessere. Illudersi di affrontare il cambiamento rintanandosi in certezze che già oggi vacillano è illusorio. A fare la differenza e a permetterci di non soccombere nella sfida con paesi dove la manodopera è più abbondante e meno costosa rispetto a noi sarà sempre più il fattore umano: ciò che ci rende insostituibili.
Anticipare il cambiamento: il nostro sondaggio
Perché non provare, quindi, ad anticipare il cambiamento e a guidarlo?
Al sondaggio che vi abbiamo proposto ad aprile avete risposto in tantissimi, raccontandoci di un’Italia forte, resiliente – per usare un termine di moda –, fatta di imprese che, anche di fronte all’ignoto rappresentato da un virus come il Sars Cov-2, hanno provato a rilanciare, modificando prodotti, modelli di business e procedure. Come insegna la storia di Cristian Fracassi, l’ingegnere capace di inventare un modo per adattare le maschere da sub ai respiratori, e moltiplicare le potenzialità di cura. Un’idea semplice, quanto geniale, e figlia della crisi.
E poi ci sono le difficoltà. Ci avete raccontato di cassa integrazione che non arriva, mancanza di liquidità, credito bancario erogato a singhiozzo: sono solo alcune delle istanze che non è più possibile ignorare, anche, e, forse, soprattutto in presenza delle promesse sollevate dal Recovery Fund. Molti di voi si sono sentiti soli, privi di riferimenti, demotivati.
E invece è proprio alle imprese che spetta il compito di guidare la rinascita del Paese. Una ripresa che speriamo forte, vigorosa, sostenibile. Raccontateci di voi. Le risposte serviranno a fornirvi un’informazione più completa, meditata, in qualche modo lontana dalla cronaca, restituendovi un giornale piacevole da leggere. E anche, è quello che speriamo, utile a immaginare il futuro. I risultati saranno presentati nel corso del SIOS 2020 che si terrà a dicembre in collaborazione con l’Università Bocconi. Un’edizione virtuale ma ricca di contenuti. In attesa di rivederci l’anno prossimo. Dal vivo.