I due fondi investono utilizzando uno strumento molto flessibile, in coinvestimento con acceleratori, incubatori e altri investitori, che abbiano la capacità di accelerare la crescita e di ridurre il rischio di execution
Il programma è gestito dal Fondo Acceleratori e dal Fondo Italia Venture II e punta a finanziare startup in fase early stage, che tipicamente hanno difficoltà a reperire “smart money” da investitori istituzionali. I due fondi investono utilizzando uno strumento molto flessibile, in coinvestimento con acceleratori, incubatori e altri investitori, che abbiano la capacità di accelerare la crescita e di ridurre il rischio di execution.
Il problema
Quasi tutti i fondi italiani di venture capital esprimono una strategia di investimento che punta minimizzare il rischio di fallimento, anche sacrificando una parte significativa del rendimento (ne avevo parlato qui). Meno del 5% degli investimenti dei fondi italiani nell’ultimo triennio riguarda round di importo inferiore al milione di euro, tipicamente riferiti a startup “acerbe”, che fatturano poco o nulla, devono completare od ottimizzare lo sviluppo del prodotto, integrare il team, validare e consolidare il modello di business. Queste startup, comunemente definite “(super) early stage”, sono il vivaio che genera le scale up, aziende che invece hanno risolto molti dei problemi originari e costruito solide basi per innescare la crescita e l’internazionalizzazione con investimenti più consistenti.
Le startup early stage sono le target
- dei fondi di seed capital, che in Italia si contano sulle dita di una mano,
- di business angel privati con ampie disponibilità, che spesso operano in modo destrutturato e non sistematico,
- delle piattaforme di equity crowdfunding, che infatti negli ultimi anni hanno fatto registrare una crescita esponenziale del numero di operazioni.
Non esiste per le startup early stage un’offerta ampia e strutturata di capitali da parte di investitori istituzionali che professionalmente gestiscono fondi di terzi con l’obiettivo di minimizzare il rischio e massimizzare il rendimento, con l’esperienza e il track record che ne garantiscano l’affidabilità.
Questo problema è ancora più forte al Sud, dove è investito meno del due per cento del totale nazionale dei fondi gestiti da investitori istituzionali, tant’è che le startup più promettenti sono costrette a emigrare o a percorrere strade alternative – smart & start, contributi regionali, debito bancario – che non diluiscono i soci, ma che sono molto meno efficienti del puro equity.
La pandemia ha dato il colpo di grazia a queste startup, perché gli istituzionali hanno dovuto gestire la crisi di liquidità delle proprie partecipate, hanno rallentato gli investimenti in generale e hanno chiuso definitivamente il canale dell’early stage.
Il programma
Fondo Nazionale Innovazione ha impresso una svolta strategica a questo scenario, lanciando un programma di investimenti in startup early stage colpite dall’emergenza Covid, con un focus particolare sul Mezzogiorno, dove il fondo Italia Venture II ha investito in poco più di un mese sei milioni di euro in trenta startup early stage, in partnership con incubatori e acceleratori del Mezzogiorno, catalizzando risorse di investitori privati per almeno altrettanto.
Le operazioni seguono poche semplici regole:
- La startup deve essere “presentata” da un acceleratore, che può essere un incubatore certificato o un’azienda che abbia un core business industriale, ma un focus specifico sull’accelerazione di startup
- L’acceleratore deve monitorare l’uso dei fondi, contribuire alla governance e alla crescita della startup
- Almeno il trenta per cento dell’investimento deve arrivare da investitori privati o istituzionali, anche dagli stessi acceleratori, una quota che in molti casi è stata ampiamente superata
- L’investimento avviene attraverso un finanziamento “convertendo” fruttifero, che si contabilizza nel patrimonio netto, non è soggetto a restituzione (tecnicamente non è un debito) ed è convertibile in quote della società al verificarsi di un “evento di liquidità”, ovvero un nuovo round di investimento o una exit.
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Gli acceleratori e il convertendo
Uno dei motivi per cui i fondi non investono in startup early stage è che lo sforzo necessario in termini di analisi e negoziazione dell’investimento non è proporzionale all’importo investito. Per un investitore professionale, non è molto diverso analizzare e negoziare un deal da cinquecentomila euro o uno da cinque milioni e nelle operazioni di piccola taglia il rendimento pesato per il rischio può non essere sufficiente a coprire i costi. Per superare questa barriera è necessario minimizzare i tempi di analisi e negoziazione senza aumentare il rischio, e CDP lo ha fatto facendo leva sugli acceleratori e adottando il convertendo.
Il convertendo è lo strumento ideale per chiudere in tempi molto rapidi investimenti in startup early stage, per almeno un paio di motivi:
- Non ha un impatto significativo sulla governance. Fino alla conversione, i fondatori mantengono inalterati il controllo e l’autonomia decisionale.
- Rimanda il tema della valutazione della società a un momento in cui sarà più facile definirla, perché la società sarà più matura e avrà fatto i necessari passi avanti, proprio grazie ai fondi del convertendo.
Il coinvolgimento degli acceleratori è il secondo punto di forza di questo programma. Gli acceleratori selezionano le startup in cui investire, coinvestono fondi propri o accompagnano investitori del proprio network che coinvestono, supportando il “main investor” nello sforzo di analisi e nella execution successiva (governance e monitoraggio dell’uso dei fondi), allineando gli interessi ed eliminando i conflitti e preparando le startup al round successivo che darà le risorse per scalare e farà scattare la conversione.
Il futuro del programma
Probabilmente non sarà il Fondo Acceleratori né i sei milioni investiti in trenta startup del Sud a condizionare il rendimento del portafoglio investimenti di Fondo Nazionale Innovazione o a cambiare il destino del Paese. Seed per il Sud è un programma che risponde all’emergenza della pandemia, ma può evolvere in una piattaforma a basso costo da utilizzare periodicamente e strutturalmente per generare un vivaio nel quale gli investitori istituzionali possano approvvigionarsi e attraverso la quale si possa allargare la base degli acceleratori di startup, aprendo le porte a soggetti nuovi il cui core business, almeno per ora, è industriale, ma il cui contributo alla crescita di un ecosistema dell’innovazione, soprattutto al Sud, può essere fondamentale.