Tutti i perché della startup nata a Roma: dalla necessità di sostenere botteghe e piccoli negozi di alimentari ad un nuovo modello di marketplace
“Daje è un marketplace che consente alle piccole botteghe di quartiere, principalmente di generi alimentari, di vendere online i loro prodotti attraverso un ecommerce condiviso e un sistema di logistica accessibile alle realtà locali”. Usa queste parole il CEO di Daje, Matteo Proietti, per presentare Daje, la piattaforma ecommerce di prossimità, nata a Roma durante il primo lockdown, che sta crescendo (“al ritmo di un quartiere al mese”, “facciamo una decina di consegne al giorno”) e trovando consensi anche ora, che le restrizioni si sono allentate. L’obiettivo del progetto, nato e basato a Roma, del CEO e responsabile del marketing Matteo Proietti, 25 anni, Jacopo Gambuti, 29 anni, responsabile delle operations, e dell’advisor Nicola Mattina è aiutare le famiglie ad acquistare nei piccoli negozi vicini a loro, sostenendo l’economia e il benessere del quartiere in cui vivono. “Lavoriamo – fanno sapere all’unisono – per offrire ai clienti un’esperienza di acquisto di prima classe, fornire ai rivenditori strumenti semplici per gestire cataloghi e ordini, coordinare un servizio di consegna a domicilio efficiente ed economico”. Detto così può sembrare semplice, ma dietro c’è un lavoro di organizzazione di mesi, in continuo sviluppo: in equilibrio tra le esigenze dei consumatori, il contesto (non certo dei più facili), le richieste e le diffidenze dei negozianti. Abbiamo ripercorso con Matteo, Jacopo e Nicola il percorso di crescita di questa startup, con una finestra aperta sul futuro della compagnia.
Il lockdown e le piccole botteghe di quartiere
In Italia tanti acquistano cibo e prodotti freschi nelle piccole botteghe. “Tutti acquistano online – dice Matteo – ma è un qualcosa che mancava nelle piccole realtà locali: botteghe e banchi del mercato”. Solo a Roma ci sono oltre 60 mercati rionali e migliaia di negozi di frutta e verdura, artigiani che producono e vendono pasta fresca, pescherie, macellerie, panifici, pasticcerie, gelaterie. Il 99% di questi negozi non ha un sito web o una presenza sui social media. Il COVID ha cambiato tutto. Durante la pandemia, per la prima volta, e anche dopo, alcuni negozianti hanno iniziato a postare foto dei loro prodotti su gruppi Facebook e Whatsapp “in modo molto artigianale”. Volevano far sapere ai loro clienti che potevano consegnare la merce direttamente e che avrebbero accettato gli ordini tramite qualsiasi strumento disponibile. Daje è una piattaforma nata proprio da questa esigenza: aiutare i piccoli negozi di quartiere a vendere online. “I cittadini di Monteverde – spiega Matteo, con riferimento al quartiere di Roma, dove la piattaforma è nata – per capirsi, possono acquistare solo nei negozi locali e non dagli altri. Ogni giorno c’è un fattorino che si occupa della consegna in quella precisa zona”.
L’ecommerce di prossimità
Ma come è possibile “piegare” il sistema che usano le big del settore per consentire a un consumatore di acquistare generi alimentari online da negozi di quartiere che non hanno mai venduto online? Per rispondere a questa domanda il team ha lavorato sullo sviluppo di un nuovo modello: l’ecommerce di prossimità, un marketplace che aggrega i negozianti di un quartiere in un’unica app. Un’opzione che permette la creazione di un marchio riconoscibile dove il cliente sa di poter trovare tutti i negozi che consegnano nel quartiere. Allo stesso tempo, consente l’ottimizzazione del costo di acquisizione del cliente e l’organizzazione di un motore di vendita efficiente: attività che un singolo rivenditore non sarebbe mai in grado di svolgere con successo da solo. La forza di Daje è stata proprio l’attivazione “dei cluster di quartiere – precisa Jacopo – che oltre ad esser il nostro obiettivo (con la valorizzazione dell’economia di quartiere) è un elemento che risponde ad esigenze pratiche. Da una parte riusciamo ad avere un magazzino condiviso con tutti i piccoli negozianti e dall’altra a limitare i tempi morti di consegna”. Insomma, meno costi, più varietà di prodotti e rapidità e “la possibilità di aprire in nuovi quartieri”.
L’esperienza d’acquisto
Jacopo, Matteo e Nicola hanno lavorato molto sull’esperienza di acquisto. Entrare in una drogheria piena di cose buone è qualcosa di difficile da replicare online. La maggior parte dei prodotti di un negozio di alimentari, di frutta e verdura, di una macelleria o una pescheria sono venduti a peso e non sono confezionati. Quindi un e-commerce di prossimità doveva essere parte di un processo che tenesse conto delle peculiarità di un’esperienza nella drogheria locale, dove il prezzo di molti prodotti varia quasi quotidianamente e il costo finale viene determinato quando il prodotto viene posto sulla bilancia. “Abbiamo aiutato i negozianti, senza però stravolgere le loro abitudini. Gestiamo ad esempio, per ora, gli ordini su Whatsapp, perché per loro è uno strumento di facile utilizzo” ha aggiunto Matteo.
La consegna
Il sistema di consegna poi doveva essere efficiente ed economicamente sostenibile. Il modello adottato dalle Big infatti è stato pensato per prendere un pasto caldo da un ristorante e consegnarlo al cliente in meno di 20 minuti. Questo modello non era applicabile. In un e-commerce di prossimità il cliente acquista inserendo la merce di più negozi in un unico carrello, il giorno successivo un fattorino raccoglie gli ordini dei clienti dai negozianti, li organizza ed effettua le consegne. Poiché negozi e clienti si trovano nello stesso quartiere il fattorino può ritirare e consegnare più ordini in una sola mattina.
Il modello di business
Già, ma come si sostiene la startup Daje? Jacopo spiega: “Abbiamo pensato ad una percentuale di trattenuta sulle transazioni. A oggi il 10%. Applichiamo un sovrapprezzo del 5% sulla merce in vendita e tratteniamo il 5% del transato sugli scontrini dei negozianti”. La squadra ha anche strutturato un sistema “di subscription e dei piani diversificati per negoziante”. E i costi di consegna? “Il cliente paga 2,50 euro per ricevere la consegna a casa e il negoziante paga la stessa cifra al superamento di determinati volumi giornalieri”.
Dopo un anno punto e a capo
Intanto, dopo un anno di lavoro, è venuto il momento di tirare le somme. “Abbiamo avuto una prima fase di esperimento con la messa a punto del sito a maggio 2020 – racconta Jacopo – un momento in cui abbiamo anche capito che il servizio era idoneo per il periodo post-emergenza. Poi una seconda fase, più legata al team e agli obiettivi di crescita”. L’obiettivo futuro di Daje, spiega la squadra “è diventare la comunità in cui le persone si riuniscono per acquistare online i prodotti che vengono coltivati, creati o scelti con cura da simpatici negozianti di quartiere. I loro negozi sono allineati lungo le strade che camminiamo ogni giorno mentre andiamo al lavoro, portando i bambini a scuola o andando a fare una passeggiata con gli amici. Piccoli negozi, bar e ristoranti sono un elemento chiave per mantenere vivo un quartiere e impedirgli di diventare un deprimente dormitorio”.