In principio furono i banner, pop-up, eccetera. Ora la nuova frontiera per chi vuole far monetizzare un sito è il native advertising, meglio se video. Ecco spiegata la vendita per quasi 300 milioni di una startup, Teads. La sede italiana è diretta da un ex stagista, Dario Caiazzo, lo abbiamo intervistato
Quando è nata la televisione erano i “consigli per gli acquisti”. Oggi, nell’era digitale, quei consigli per gli acquisti valgono ancora erga omnes, ma sono sempre più cuciti su misura per chi li riceve. E’ la pubblicità, bellezza. Anzi, advertising. E all’interno dell’advertising online quello video è quello con il più alto “reach” (ovvero il numero di utenti “unici” che hanno avuto la possibilità di vedere un certo oggetto sociale). Per non parlare poi della pubblicità video su mobile. Basti pensare che ogni minuto su YouTube vengono caricate circa 300 ore di video, oppure ancora, che i video su Facebook vengono visti quotidianamente oltre 10 miliardi di volte.
I video e la crisi dei giornali
Insomma, il comparto video (e, quindi dell’advertising), sul web, vende bene. Lo hanno capito le grandi piattaforme digitali. E lo hanno capito publisher e advertiser, ovvero editori e inserzionisti. I primi, perché in piena crisi dell’editoria (non solo digitale) devono trovare/sperimentare nuovi modelli di business, i secondi perché se il pubblico si sposta, dalla carta, alla tv, al web, devono essere in grado di “inseguire” quel pubblico.
Teads, la startup che ha inventato un nuovo modo di vedere la pubblicità
Nel mezzo ci stanno le agenzie. Frotte di creativi e venditori che in questa grande trasformazione hanno lasciato anche colossi per fondare startups, costruire nuovi asset tecnologici e aggredire le grandi fette di mercato che il web ha creato e continua a creare.
Come il francese Pierre Chappaz, già presidente europeo di Yahoo e founder di Kelkoo, che dopo il progetto Wikio ha deciso di virare sul video advertising co-fondando Teads, startup che è riuscita in poco più di 5 anni a crescere (leggi: fatturare), aggregarsi ad altre startup dello stesso settore (come fatto con ebuzzing di Andrea Febbraio) e, diventare leader in un mercato completamente nuovo. Arrivando all’exit da quasi 300 milioni annunciata ieri, nel primo giorno di primavera. Anche se exit è un termine che non piace molto al boss di Teads, che vede l’operazione più come un’altra M&A e, soprattutto, non intende affatto lasciare la società che ha co-fondato.
Quanta Italia c’è dentro Teads
Chi in Teads ci lavora dice di lui che è un romantico più che un visionario. Certo anche un talent scout: in una delle sedi d’oltralpe della startup il più giovane sviluppatore ha 16 anni, giusto per fare un esempio. E in Teads c’è tanta Italia. Dal già citato startupper seriale e investitore italiano Andrea Febbraio, oggi nell’advisory board dell’azienda, ai tanti, tantissimi italiani che lavorano negli uffici di Parigi, Londra, Madrid, Düsseldorf, Bruxelles, fino agli Usa.
E c’è anche chi è entrato in Teads come stagista e oggi è tra quelli che la dirigono. Come il managing director italiano, Dario Caiazzo.
Dario, davvero tutto è iniziato da uno stage?
«Sì, ma in una startup poi si fonderà con Teads. Era il 2006-2007, avevo appena concluso un master in comunicazione e marketing per il web a Roma. Durante il master un mio docente era Andrea Febbraio che stava uscendo da un’avventura professionale nel mondo eventi e lanciando Promodigital (poi ebuzzing, ndr) con Diego Masi. Mi propose di seguirlo in questa nuova avventura. Avevo 25 anni e dissi “facciamolo”, così fondammo una delle prime società italiane di buzz marketing».
Di solito nelle startup chi è bravo non ci resta così a lungo…
«Per due anni e mezzo ho fatto altro…»
Ah, quindi è un ritorno di fiamma!
«Non era stato un addio non di quelli brutti. Avevo fatto tanto, volevo fare delle esperienze diverse. Sono stato in Beintoo, e poi managing director di RadiumOne, che faceva programmatic».
Perché i video “outstream” piacciono
Parliamo di mercato. Qual è il vantaggio competitivo di Teads rispetto ad altre adtech?
«Da un paio d’anni lo standard che Teads ha di fatto inventato, l’outstream, vale il 30% del mercato video a livello globale. Un mercato che prima non esisteva e che ha aperto la strada a tante realtà che hanno seguito».
Cos’è l’outstream?
«Facebook, a esempio, ha sostanzialmente il nostro formato. Il mondo video si divide in stream e outstream. E’ il comportamento del player video, che si ferma e si avvia automaticamente quando l’utente raggiunge l’oggetto. E nel nostro caso con la nostra tecnologia siamo in grado di capire davvero se quel video (pubblicitario, ndr) l’utente lo ha effettivamente visto fino alla fine. Infatti la usano praticamente tutti i premium publisher.
Perché un giornale online, ad esempio, sceglie voi e non altri?
Perché il nostro contenuto si integra perfettamente e in maniera “intelligente” all’interno di un articolo. Fin qui il cosiddetto “native”, poi il programmatic fa il resto…
Benvenuto Programmatic Adv
Un attimo, Dario. Spiega per favore alla nonna cos’è la tecnologia programmatic e perché è diversa dai tradizionali “banner”…
«Con il programmatic tu puoi associare facilmente un dato all’erogazione. Il vantaggio in termini commerciali è il fatto che colui che compra (l’advertiser, ndr) in programmatic può avere dei dati che possono trasformarsi in pubblicità personalizzate»
Sono quei dati che vengono raccolti, ad esempio, con i cookie, e che ci fanno trovare banner su Facebook con lo stesso prodotto che abbiamo cercato su Amazon 2 minuti prima?
«Quello è re-targeting. Il dato che può essere raccolto direttamente da un brand, attraverso il proprio sito. Il nostro lavoro è fare in modo che questi dati abbiano una reach importante su cui erogare, che si tramutino in esposizione di un video pubblicitario».
A proposito di dati. L’azienda che vi ha acquisiti ne ha tanti, e profilatissimi, tra canali televisivi, abbonamenti, eccetera. Altrettanti ne gestite voi, sicuramente per quanto riguarda internet. Perché vi hanno scelti? Ci dici qual è lo scenario/obiettivo più prossimo?
«Con questa acquisizione può nascere uno dei primi veri poli di cross-screen, ovvero telefonino-computer-tv. Il gruppo Altice ci mette a disposizione tutta una serie di dati che loro hanno raccolto.
Uno scenario possibile per il futuro è che il cross-screen diventi uno screen unico, dove non ci sarà differenziazione tra dove vedo le cose ma sulla capacità per la pubblicità di raggiungere direttamente quell’utente, senza preoccuparsi di quale sia il dispositivo attraverso il quale lo raggiunge».
Corriere, Vogue, GialloZafferano, Studenti.it… Chi ha scelto Teads
Dite di essere il primo marketplace al mondo di video adversiting. Anche in Italia è così? Dicci almeno chi vi ha scelti…
«Lato advertiser posso citarti Samsung, Bmw, American express, Barilla… e c’è anche molto luxury fashion. Lato publisher, usano la nostra tecnologia quasi tutti gli editori italiani. Abbiamo un accordo di esclusiva per tutti i quotidiani online del gruppo Rcs, e poi gestiamo anche il native video del network Banzai, Condé Nast…»
Il mondo dell’editoria sta cambiando. E startup come la vostra sono forza di cose parte di questo cambiamento. Ma il mercato italiano è ancora molto piccolo, non tanto in termini di offerta quanto di domanda. Ci sono, a tuo avviso, delle opportunità da questa differenza rispetto ad altri Paesi?
«Si dice sempre che l’Italia sia indietro, non sono d’accordo. Le multinazionali pensano che sia un mercato da esplorare quasi subito, perché aperto alle novità. Non è un caso se poi società come la nostra o anche altre abbiano successo».
Forse perché è un recinto più piccolo e quindi più facile…
«E’ un recinto più piccolo, che però ti dà la possibilità di poterti esprimere, perché è davvero ricettivo».