In sei anni siamo passati dalla fine del Web alla fine delle app, che comunque hanno un mercato di 34 miliardi. Perché è così difficile fare previsioni di mercato se parliamo di digitale
17 agosto 2010. Wired pubblica un editoriale di Chris Anderson che titola: «Il Web è morto, lunga vita a Internet». Con un lungo articolo di Michael Wolff che analizzava gli ultimi trend del consumo di Internet. La tesi dell’ex direttore del magazine americano era che l’uso delle app avrebbe portato inesorabilmente gli utenti di Internet ad abbandonare il Web (libero e aperto) a favore di applicazioni chiuse di servizi particolari. Internet usato in piccole isole, chiamate app.
«Ti alzi al mattino e controlli le mail sull’iPad, tramite un’app. Mentre fai colazione controlli Facebook, Twitter e il New York Times – che sono altre tre app. Sulla strada per il tuo ufficio ascolti musica sempre attraverso app». E così via. Generalmente si comincia a parlare di app e di app economy nel 2008, quando Apple lancia il suo App Store. Nel 2010 sembrava che il futuro fosse più che tracciato.
2010. Il boom delle app decreterà la fine del Web
Le abitudini degli utenti erano la cartina al tornasole del ragionamento di Anderson. Il boom delle app scaricate a centinaia di migliaia sugli smartphone la controprova fattuale. I trend tracciati dagli analisti il contorno perfetto (gli studi di Morgan Stanley e Cisco avevano previsto nel 2009 che in 5 anni l’accesso alla rete da parte di dispositivi mobile avrebbe superato quelli da computer, tutti azzeccati). La tesi dunque era più che solida, per quello che mostravano i trend allora.
2016. Il boom delle app è finito
Facciamo un passo in avanti. Di sei anni. 8 giugno 2016. Recode, magazine che negli anni ha guadagnato una buona autorevolezza sui temi del digitale e dell’economia, che titola un articolo di Peter Kafka: «Il boom delle app è finito». A controprova, porta una serie di dati che raccontano come di app non se ne scaricano più. Meno rispetto agli anni precedenti (in media il 20%).
Leggi: Non moriranno, ma le app hanno un grosso problema:
la rivincita del Web
Tranne big come Uber, o nuovi servizi come Snapchat. Mentre soffrono Youtube (-20) Twitter (-18,6) Spotify (-7,3%, dati Sensor Tower elaborati da Nomura). E cosa ci sarà al posto delle app? Il ritorno del Web, della libera navigazione per siti tramite browser, anche da mobile. Una navigazione aiutata dal potenziale di adattabilità al mobile offerto dai nuovi linguaggi come l’HTML5, la quinta generazione di Hyper Text Markup Language, ovvero il linguaggio con cui vengono scritte, costruite le pagine web.
La rivincita del Web sull’arcipelago delle app
Tra questi due poli una lunghissima serie di articoli usciti negli ultimi sei anni sulla lotta tra app e web (la letteratura è vastissima), che annovera anche un articolo in difesa del Web di Tim Berners-Lee minacciato dall’uso di app che lo frammentano in «isole chiuse».
Ma c’è un articolo del New York Times che letto dopo 4 anni fa un certo effetto: «Nel nuovo Web, nessuna app è un’isola». La tesi del prestigioso quotidiano statunitense era che decretare la fine del web in favore delle app era una sciocchezza: il motivo è che l’HTML5 avrebbe permesso l’utilizzo di web app al posto di app native, intendendo per web app le app che possono essere utilizzate via browser.
Ora, ogni sintesi giornalistica è si per sé un po’ brutale. Ma è assai singolare che in soli sei anni i dati in nostro possesso possano stravolgere così radicalmente gli scenari. Ma nessuno ha sbagliato nel raccontare i trend, al momento in cui si scriveva. Nel 2010 il boom delle app e del mobile avevano fatto ipotizzare che il Web aveva se non i giorni contati, quasi. Oggi ritorna. E sono le app a passarsela male. Nonostante stiamo parlando di un mondo che solo nel 2015 ha generato fatturati per 34,2 miliardi e 156 miliardi di applicazioni installate. E di un mercato in continua mutazione. Dove è difficile fare previsioni sul comportamento degli utenti. Al netto di una direttrice costante, dove libertà, chiusura, isole e mare aperto contano poco. Ma sembra contare, invece, solo la facilità di accesso. La velocità. E la funzionalità delle applicazioni. Indipendentemente da quale supporto utilizzino.
L’app economy è diventata una mobile economy
Paolo Cellini, docente di Economia digitale alla LUISS, prova a mettere ordine. «E’ indubbio che il numero di app scaricate stia diminuendo. Ma questo non può voler dire la morte della app economy». Una tesi condivisa anche da chi le app le fa, ma con una precisazione.
Claudio Somazzi, ceo di Applix, ammette che il mercato delle app, come trend globale, ha un sostanziale ridimensionamento: «Come Applix abbiamo visto nascere e partecipato attivamente all’app economy, definita come fonte di revenue derivante dallo sviluppo e messa in vendita di applicazioni. Nel tempo, però, l’app economy è diventata più una ‘mobile economy’, intesa come utilizzo dell’icona quadrata delle app sui nostri smartphone e tablet come strumento per proporre e vendere contenuti, servizi e prodotti in maniera più semplice e veloce rispetto alla tradizionale vendita online». Poi però qualcosa è cambiato:
«Con lo sviluppo di nuove tecnologie, come l’HTML5 il confine tra online/internet e app native si è assottigliato quasi a sparire. E così, in molti casi (escludendo per esempio videogiochi e pochi altri generi) l’app sui nostri telefonini è diventato un formidabile sistema di distribuzione ‘always on’». Così come si è evoluto lo sviluppo di siti internet responsive che si adattano automaticamente alla loro fruizione su terminali mobile più piccoli degli schermi desktop. E l’azienda ha dovuto ripensarsi di conseguenza:
«Da almeno due anni in Applix il nostro lavoro di ricerca, sviluppo e distribuzione di contenuti e servizi per i nostri clienti è diventato ‘mobile’, mentre l’app è diventata da centro di gravità totalizzante a una delle risposte tecnologiche per raggiungere l’obiettivo».
L’unica cosa che interessa agli utenti è che un’app funzioni
GamePix è una startup di Roma che già dal 2013 ha cominciato a lavorare con l’HTML5, distribuendo giochi, proprio nel settore dove le app sembrano avere un bacino di utenti più ampio. E più attivo. «Credo che alla fine all’utente interessi poco se un’app, o un gioco, siano native o sul web. L’importante per un utente è che funzioni bene» spiega Valerio Pullano, cofounder e cmo di GamePix,
«Oggi però avere successo con una app, che sia un gioco o meno, è complicato. O hai tanti soldi da investire in marketing e competere con Pokémon Go o Candy Crush, oppure devi sperare nella fortuna, come è successo a Flappy Bird. Oggi sempre più spesso gli sviluppatori di giochi sono alla ricerca di canali di distribuzione alternativi. Come quelli che creiamo noi di GamePix».
E poi gli scenari del digitale possono cambiare da un momento all’altro. «Pensa a quello che potrà succedere con WebAssembly, il nuovo linguaggio HTML che nelle intenzioni di Google, Mozzilla e Microsoft supererà l’HTML5. Entro qualche anno colmerà il gap che ancora c’è tra app native e web. Renderà ancora più facile e responsive una web app, molto di più di quanto lo sono ora».
L’evoluzione di HTML5: WebAssembly
«E poi gli scenari del digitale possono cambiare da un momento all’altro. «Pensa a quello che potrà succedere con WebAssembly, il nuovo linguaggio HTML che nelle intenzioni di Google, Mozilla e Microsoft supererà l’HTML5. Entro qualche anno colmerà il gap che ancora c’è tra app native e web. Renderà ancora più facile e responsive una web app, molto di più di quanto lo sono ora».
Lunga vita alle app, ma avremo meno startup che fanno app
Un cambiamento in atto e di cui è difficile immaginare la fine. Certo si è fatto un po’ presto a decretare la fine del Web, come forse si sta facendo troppo presto a decretare la fine delle app. Nell’articolo di Wolff citato prima emergeva l’idea che la maggiore funzionalità delle app avrebbe indotto gli utenti a rinunciare alla «libertà caotica» del web per avere strumenti più efficienti. Quasi come se fosse una rinuncia alla libertà del web aperto per poter fruire meglio di alcuni servizi.
Oggi a guardare bene sta succedendo la stessa cosa. Al contrario. E’ l’efficienza a guidare l’evoluzione del modo in cui usiamo l’Internet. Avremo ancora bisogno di app, anche a migliaia. Per riprendere il ragionamento di Cellini, «forse avremo meno bisogno migliaia di startup che fanno app».