Instilla, società di digital marketing fondata da Paolo Meola, per caso si è imbattuta in un piccolo paradosso. Le startup in Italia spesso non dichiarano o non hanno un sito. I numeri di questo report
Di 5.143 startup iscritte al registro, 2.998 ha dichiarato di avere un sito internet. Il 58%. Quasi di 2mila di queste non si sa nulla. Qualcuno è andato a spulciare questi dati e il risultato è che quasi tre siti ogni dieci startup (27,7%) non funziona. Di questi il 55.9% non è raggiungibile, il 41% è in costruzione, il 2.5% ha addirittura il dominio in vendita. No, non è perché la startup (o presunta tale) è morta. Gli adempimenti semestrali a cui sono chiamate escludono questa ipotesi. Di fatto, meno di una startup su cinque ha un sito come si deve, dice un report pubblicato mercoledì 27 aprile da Instilla. Sono mille. Mille startup scarse sulle 5mila iscritte al registro.
Chi è andato a spulciare la vita digitale delle startup italiane è la società di Paolo Meola, genovese, 28 anni, con un paio di startup alle spalle che considera esperienze concluse e una breve carriera amatoriale da cantautore. «No, non l’ho fatto per risentimento nei confronti dell’ecosistema. Che mi frega, io devo fatturare» dice secco a Startupitalia.eu. Fatturare con Instilla, azienda che si occupa di ottimizzare i processi di digital marketing. «Lavorando come consulente a qualche startup abbiamo creato un piccolo pacchetto di cose da poter fare per ottimizzare il lato seo dei siti. Abbiamo pensato di andare direttamente sul registro delle imprese, scaricare i dati pubblici sulle aziende iscritte e ci siamo accorti che qualcosa non andava». Cosa? «Le aziende iscritte in realtà non sono vere startup. O per lo meno nulla hanno a che fare col digitale. Talmente poco da non avere nemmeno un sito internet. sono pochissime quelle che ce l’hanno». E’ sicuro di quello che dice. E sia i nomi di chi sostiene la startup che il metodo descritto nel report consigliano di considerare seriamente questi numeri.
Instilla è nata un anno fa da Meola, Andrea D’Agostini, 27 anni, genovese anche lui e Filippo Bernasconi, 28 anni di Como. Hanno chiuso un seed round poco dopo essere nati come società con un gruppo di angels raccolti da Nuvolab di Francesco Inguscio. Un po’ per macinare i primi clienti, le prime fatture, e poi il tuffo nell’analisi dei siti delle startup. Da dove esce un report con questi dati. Con un’aggravante: il 30% dei siti non funzionanti sono non funzionanti dal 2010.
Se queste sono le startup italiane, vuol dire che le startup italiane non sono digitali. Se non sono loro, allora qualcosa del registro credo dovrebbe essere ripensato
Delle startup che hanno un sito, 3 volte su 10 non è ottimizzato per mobile
Il grado di digitalizzazione delle startup passa anche da un altro dato. Di quelle che hanno un sito solo 3 su dieci ce l’hanno responsive o mobile first. «O per lo meno hanno la sufficienza dei test di compatibilità di Google» spiega Meola. Solo l’11% ha un sito ottimale per il mobile. In pratica un centinaio o poco più.
«L’analisi ha certamente ampi margini di affinamento» dice Meola. «Si limita infatti ad analizzare i soli siti web dichiarati dalle starup iscritte al Registro delle Startup Innovative, e individua come indice di digitalizzazione la sola ottimizzazione dei siti web per visualizzazione mobile». «D’altra parte» si legge nel report, «è indubbio che oggigiorno la presenza online, e in particolare quella mobile, siano buone proxy del grado di digitalizzazione di una startup». Un’impresa che non è sul web mobile oggi difficilmente può aspirare a scalare globalmente. «Già a ottobre 2015, Amit Singhal, a capo di Google Search aveva annunciato che nel mese precedente le ricerche mobile avevano superato quelle desktop, raggiungendo i 100 miliardi di ricerche attraverso dispositivi mobili con display da 6 o meno pollici».
Il sospetto alla fine è che molte di quelle startup siano normali PMI
Se la presenza mobile è indice di digitalizzazione, da questa analisi emergono certamente forti indizi che portano a pensare che le startup italiane iscritte nel Registro delle Startup Innovative non siano digitali. Che forse, molte non siano startup del tutto. Solo 8,9% delle startup raggiunge il minimo sindacale per potersi dire digitale. Per essere reperibile e responsive. Delle due l’una. «Se queste sono le startup italiane, vuol dire che le startup italiane non sono digitali. Se non sono loro, allora qualcosa del registro credo dovrebbe essere ripensato». Conclude Meola. E l’ombra, il sospetto resta. E cioè tra quelle 5mila startup ci siano molte, moltissime, normalissime PMI.
Arcangelo Rociola
@arcamasilum