Trentatré giorni per misurare la capacità di reazione di una città che senza soluzioni rapide rischia il congestionamento della viabilità e la stagnazione del porto
Non c’è molto tempo, non bisogna perderne. A dieci giorni dal crollo del viadotto che scavalcava il Polcevera, i genovesi sono al lavoro per evitare che la tragedia abbia ripercussioni funeste per la città anche sul lungo periodo. Il lutto e la paura hanno da subito coesistito nei sopravvissuti – perché così ci si sente, se si era soliti percorrere quel tratto di autostrada che per Genova è anche una tangenziale – con la voglia di riparare, di soccorrere, di aiutarsi.
La reazione immediata è stata molto efficace, sia a livello istituzionale che dei cittadini. La solidarietà e la voglia di aiutare saranno indispensabili anche per il futuro.
Un problema pratico
Il problema pratico più urgente da risolvere è quello legato alla viabilità e alla logistica del porto. Sul ponte Morandi transitavano migliaia di veicoli ogni giorno e molto spesso si formavano code lunghe e lente. Nei fine settimana estivi gli ingorghi erano causati da chi si imbarcava su un traghetto, durante i giorni feriali di tutto l’anno, invece, il ponte era intasato da camion e Tir. E non pochi. Approssimativamente il numero di mezzi pesanti in transito su quell’ultimo chilometro di A10 era ogni giorno tra i millecinquecento e i duemila. Mezzi che trasportavano merci tra il grande scalo container di Voltri dove giungono le grandi navi merci dalla Cina, a ovest del fu ponte, e il porto di Genova Sampierdarena a levante. Merci che per il bene della città devono continuare a circolare ma che rischiano di congestionarne completamente il traffico.