L’italiana Mia Platform cresce a ritmi da fuoriserie. “Ma spesso c’è troppa esterofilia” dice l’ad Federico Soncini Sessa
A Milano c’è un’azienda che vuole fornire i ferri del mestiere agli sviluppatori della Silicon Valley. Dieci milioni di fatturato, centotrenta dipendenti e ora un nuovo ufficio a Londra. Federico Soncini Sessa, 37 anni, ingegnere matematico prestato alla pianificazione urbana (seconda laurea) non ha resistito a lungo al richiamo di codici e algoritmi. Mia Platform, l’azienda che ha fondato nel 2016 e di cui è amministratore delegato, va forte, ed è appena entrata nella lista delle mille realtà continentali che crescono più in fretta (posizione settanta, seconda italiana nel Tech, classifica Financial Times / Statista). Lo raggiungiamo al telefono per una chiacchierata ad ampio spettro. Sul tavolo il futuro del coding. Lui accetta volentieri di raccontarsi.
Una “rivoluzione industriale” nel coding
“E’ in corso quella che potremmo definire una rivoluzione industriale applicata ai bit” dice a StartupItalia. Spieghiamo meglio. “Stiamo passando dallo sviluppo artigianale del codice a una fase in cui il programmatore si impegna solo sugli aspetti differenzianti, quelli che fanno vincere la sfida del business”. Come accade nello sviluppo con WordPress: l’infrastruttura resta la stessa, “i programmatori ci mettono la creatività e le soluzioni”. In termini tecnici si chiama realizzazione end-to-end di piattaforme digitali cloud native. “In pratica è come se fornissimo dei mattoncini per chi scrive codice” sintetizza il manager.
Un oceano blu che Soncini ha avvistato nel 2013. “La storia comincia allora, con un progetto che avevamo chiamato Make it app. L’acronimo ‘Mia’ che usiamo oggi viene da lì”. Quel tentativo non si è tradotto in un successo, ma ha permesso allo staff di intuire la direzione che avrebbe preso il mercato.
Che ha risposto, e con numeri da capogiro: + 54% rispetto al 2020 in termini di fatturato, addirittura +4.000% rispetto al primo risultato d’esercizio del 2016.
La soluzione fornita da Mia Platform è modulare, con sottoscrizione annuale o licenza perpetua. Il prodotto viene personalizzato sulla base delle esigenze dei clienti. “Fino ad oggi abbiamo ricevuto ottimi riscontri dal mercato bancario e finanziario ma sappiamo che ci sono margini importanti di espansione anche in altri business” prosegue Soncini, che guida l’azienda assieme a due soci.
Prossima stazione, Londra
Ora la sfida è internazionalizzare. Il software corre sulle autostrade telematiche, ma per crescere servono anche sedi commerciali, luoghi fisici dove fare business. Si comincia dal Regno Unito, scelto perché “rappresenta il mercato high tech più grande in Europa, e Londra è in grado di attrarre capitali rilevanti”. Ma gli investimenti per la trasformazione digitale sono in costante aumento ovunque.
Un fattore decisivo per l’espansione del business, afferma l’azienda, è stata la rete internazionale di partner strategici: lanciato lo scorso anno, il programma di partnership ha già raggiunto più di 20 società di consulenza e system integrator che operano nei principali paesi europei. Una strategia che ha permesso di accelerare la diffusione della piattaforma nel Vecchio Continente e nel mondo.
Che cosa serve per creare un’azienda di successo
La ricetta di Soncini per un’azienda di successo? “Prima cosa: avere capacità di esecuzione. Se c’è quella, il secondo passo è trovare un oceano blu, uno spazio di mercato dove non ci sono ancora competitor. Ma con abilità tecniche solide diventa tutto più facile”. Il mestiere di imprenditore, aggiunge, “è essere fortunato e ottimista. In Italia siamo geniali, abbiamo ottime scuole: manca la capacità di fare squadra, anche con i concorrenti”.
Scontiamo una certa l’esterofilia? “Ai vertici delle grandi aziende ci sono spesso connazionali come Diego Piacentini (ex Amazon per 16 anni, fino al ruolo di senior vice president, ndr): ma compriamo software straniero spesso solo per una sorta di fascinazione. Magari si tratta di una startup che non ha niente in più rispetto alle nostre”. Per questo, “oggi la sfida che abbiamo davanti è dimostrare che una grande azienda del software si può fare anche restando in Italia”.
C’è un problema, noto: come trattenere i migliori dipendenti in un mercato che ormai si è fatto globale? “Si può fare con percorsi di carriera ben strutturati, politiche di stipendio chiare e concorrenziali, formazione continua. E creando un ambiente di lavoro piacevole”. Stanno aumentando le aziende tricolore proiettate su scala europea, da Tannico a Talent Garden. Buon segno. E un incentivo anche per le realtà più piccole. Soprattutto se riusciranno a trovare una via italiana al successo, una strada capace di superare gli schemi della Silicon Valley.