I big della Silicon Valley insieme al Governo degli Stati Uniti contro il terrorismo. Le tecniche? Si basano sul sistema che Google e Facebook adottano per profilare l’utente e targhettizzare i messaggi pubblicitari
La guerra all’Isis non si combatte solo sul campo di battaglia con bombe e missili. E’ una guerra tecnologica. I messaggi dei terroristi passano dal Web. Account Twitter che incitavano all’odio e diffondevano i messaggi dei terroristi sono aumentati a dismisura durante gli attacchi di Parigi. Dalla parte opposta, va ricordato Anonymous, la “firma” adottata da gruppi di hacktivists che, mossi dall’obiettivo di combattere e ostacolare le comunicazioni tra i terroristi, avevano organizzato un vero e proprio cyberattacco.
Ma non c’è solo Anonymous. A febbraio 2016, a Washington si è tenuto un incontro molto particolare. I dirigenti dei principali gruppi hitech della Silicon Valley (tra cui Facebook, Microsoft, Apple, Google) hanno incontrato esponenti dell’amministrazione Usa. Al segretissimo incontro hanno partecipato: John Carlin, assistant attorney general per la Sicurezza Nazionale, Jen Easterly, direttore del antiterrorismo del National Security Council e Megan Smith, US Chief Technology officer. L’obiettivo dell’incontro? Coniugare le tecnologie della Silicon Valley per aiutare gli Stati Uniti a combattere il terrorismo sul campo tecnologico. A pochi mesi da quell’incontro, ecco come procede la collaborazione tra Governo Usa e i cervelli della Silicon Valley.
La cyberguerra con le tecniche della pubblicità
L’account Twitter, creato dal Governo Usa contro la propaganda Isis, “Think Again, Turn Away”, non ha avuto molto successo e ThinkAgain_DOS non pubblica più nulla da marzo. I canali Youtube e Tumblr non raccolgono abbastanza follower. Ma la collaborazione tra l’amministrazione USA e la Silicon Valley ha avuto i suoi effetti. Il Center for Strategic Counterterrorism Communications, è stato ribattezzato Center for Global Engagement e i metodi adottati per la cyberguerra si sono affinati.
Le tecniche? Si basano sul sistema che Google e Facebook adottano per profilare l’utente e targhettizzare i messaggi pubblicitari. La strategia adottata è questa: far passare contenuti sul web senza fare capire agli utenti che il materiale è veicolato e promosso dal Governo. Altra cosa è l’invio selettivo di messaggi agli utenti che pubblicano contenuti inneggianti all’ISIS e convincerli a cambiare idea. La profilazione degli utenti avviene in maniera chirurgica e, delle strategie, se ne occupa Michael Lumpkin, il nuovo capo del Global Engagement Center (come scrive il Daily Best QUI).
Le parole chiave della contro-narrazione
«Stiamo lavorando perché emerga una contro-narrativa in giro per il mondo», aveva detto Anthony House, il direttore della Comunicazione di Google. Questa dichiarazione aveva creato scompiglio nella comunità web: troppo controllo sull’espressione online? In realtà, la contro-narrativa si basa sul meccanismo delle AdWords: le pubblicità vengono visualizzate dell’utente sulla base delle parole chiave digitate durante le ricerche effettuate su Google. Se esiste minaccia terroristica, nella classifica delle parole chiave più ricercate potrebbero apparire termini che incitano alla jihad e potrebbero esserci contro-messaggi di aziende mediorientali che si chiamano fuori. Tuttavia, le dinamiche e le accortezze da tenere ben presenti in una cyberguerra contengono anche molte controversie come viene evidenziato dalla domanda che un anonimo rappresentante di Google ha posto in un’intervista rilasciata a BuzzFeed News: «Se accettiamo di mostrare un risultato invece che un altro su richiesta del governo USA, che cosa fermerà altri paesi dal farci la stessa richiesta? Che cosa impedirà a certi paesi di modellare in base alla loro agenda i risultati delle ricerche fatte dai loro cittadini? Non è una strada che siamo intenzionati a esplorare». I big manager della Silicon Valley, a quanto sembra, hanno risposto negativamente a richieste di questo tipo.
Sara Mauri