Gli olandesi offrono 5,5 miliardi di euro per acquisire l’azienda nata in Danimarca, che è in difficoltà: l’obiettivo è farsi largo in tutto Europa, a cominciare dal mercato inglese
Uniti si diventa più forti, grandi e influenti, ma anche e soprattutto più ricchi. Il succo dell’accordo che dovrebbe essere chiuso nei prossimi giorni tra Takeaway.com e Just Eat è racchiuso nelle potenzialità del gruppo che sorgerà dopo la fusione tra le due società, che sono tra le più attive nel redditizio e affollato mercato del food delivery. La mossa ha un doppio fine, diverso ma prezioso per entrambe le parti in causa: l’azienda olandese, fondata nel 1999 da Jitse Groen per le difficoltà di trovare online i menu dei ristoranti e attiva dal 2000 con il nome Thuisbezorgd.nl (cambiato in Takeaway.com nel 2010), ritenta la scalata al mercato britannico, mentre dall’altra parte Just Eat trova un’ancora di salvataggio proprio nel mercato in cui soffre di più la concorrenza di Uber Eats e Deliveroo.
Leggi anche: Takeaway.com offre 5 miliardi per acquisire Just Eat
L’accordo
Takeaway.com ha messo sul piatto della bilancia 5 miliardi di sterline (5,5 miliardi di euro) – attraverso un’operazione interamente azionaria – valore che rappresenta una maggiorazione del 15% rispetto all’ultima quotazione in Borsa della scorsa settimana. In tal modo, i soci di Just Eat avrebbero il possesso del 52,2% del capitale del gruppo combinato, con il 47,8% che sarebbe nelle mani degli azionisti di Takeaway.com. Detto che Goldman Sachs e UBS stanno curando l’iniziativa per Just Eat, con Takeaway.com che si è invece affidata a Merrill Lynch, proprio grazie a fonti bancarie sono filtrati maggiori dettagli sulla vicenda. L’accordo su una possibile combinazione è pressoché chiuso, con il futuro colosso del settore che si chiamerà Just Eat Takeaway.com e sarà uno dei gruppi più grandi al mondo con una valutazione superiore a 9 miliardi di sterline, con oltre 40 milioni di utenti e più di un miliardo fatturato nel corso dell’ultimo anno. È probabile che l’annuncio ufficiale possa arrivare nel corso della prossima settimana, dopo la pubblicazione dei rispettivi risultati finanziari, anche se a livello teorico, secondo le norme relative alle acquisizioni nel Regno Unito, gli olandesi hanno tempo fino alle ore 16 del 24 agosto per presentare l’offerta definitiva a Just Eat, oppure in caso contrario mollare la presa.
Perché è una fusione vantaggiosa
Unire le forze rappresenta un vantaggio per le due aziende, che nel complesso operano in più di venti paesi (qui e qui per vedere quali sono nello specifico) e il cui raggio d’azione è complementare, perché copre quasi per intero l’Europa e conta su una presenza in ogni continente: in Asia (Takeaway.com con il Vietnam), in Oceania, Nord America, Centro e Sud America (Just Eat è operativo in Canada, Messico, Brasile, Australia e Nuova Zelanda), con la sola Svizzera che è territorio comune. A innescare l’avvicinamento tra le parti è stata la difficoltà della compagnia nata in Danimarca e poi quotatasi alla Borsa inglese, con l’amministratore delegato Peter Plumb che lo scorso gennaio si è dimesso dopo sedici mesi dall’inizio del suo incarico per i risultati non in linea con le aspettative. Con i concorrenti che crescevano e la società a investire per affinare la propria tecnologia, gli azionisti hanno iniziato a mugugnare, con l’hedge fund Cat Rock Capital Management, titolare di circa il 2,5% di azioni (e del 4% delle azioni di Takeaway.com) a suggerire un cambio di marcia in virtù del netto ridimensionamento del valore di Just Eat (azioni in calo del 28% negli ultimi dodici mesi). Con il nuovo assetto, l’attuale presidente di Just Eat, Mike Evans, dovrebbe essere il presidente del consiglio di amministrazione, mentre Jitse Groen sarà il Ceo del gruppo, con la sede del gruppo che rimarrà ad Amsterdam (con un eventuale riunione dei centri di lavoro che potrebbe favorire un importante risparmio nelle spese del personale).
La crescita del cibo a domicilio (anche in Italia)
La fusione tra le due società è solo l’ultima mossa nel movimentato mondo del food delivery, che secondo diversi analisti già ora vale circa 83 miliardi di sterline (pari a 91 miliardi di euro). Lo scorso dicembre la stessa Takeaway.com ha investito 930 milioni di euro per acquisire la tedesca Hero (che ingloba i brand Foodora, poi ceduta agli spagnoli di Glovo, Pizza.de e Lieferheld). Più recente è stato l’intervento di Amazon, che a maggio ha guidato un round da 575 milioni di dollari in Deliveroo, che per ora, però, è stato bloccato dall’Autorità per la concorrenza e il mercato del Regno Unito, preoccupata per le mire espansionistiche della società fondata da Jeff Bezos. Bisogna guardare proprio verso gli Stati Uniti per un altro movimento di primo piano del settore, perché sempre a fine maggio DoorDash ha annunciato un finanziamento da 600 milioni di dollari che ha portato la valutazione dell’azienda a 12,6 miliardi di dollari.
Il fenomeno tocca ovviamente anche l’Italia, dove secondo un’analisi Coldiretti/Censis sono 18,9 milioni i connazionali che utilizzano un servizio per la consegna del cibo a domicilio: 3,8 milioni lo fanno con regolarità, 15,1 milioni occasionalmente. I motivi? La stanchezza e la conseguente mancanza di voglia di cucinare guida la speciale classifica, anche se non manca chi non ha tempo per cucinare (e chi non sa proprio cucinare), chi fa ordini per allietare la serata e chi non vuole rinunciare a piatti ricercati e di qualità.