Fummo tra i primi a parlarvi della riforma del copyright e del possibile impatto sulle startup. Da allora è passato oltre un anno e finalmente il Parlamento Europeo l’ha votata. E non è andata bene.
Siamo stati tra i primi a parlarvi della riforma del copyright e del possibile impatto sulle startup. Da allora è passato oltre un anno e finalmente il Parlamento Europeo l’ha votata. E non è andata bene.
A passare è stata la linea del relatore Axel Voss, del Partito Popolare Europeo, più vicina al testo originale della Commissione Europea. Il testo è passato con 438 voti a favore, 286 contro e 39 astenuti.
Gli emendamenti presentati il 4 settembre scorso presentati dai gruppi parlamentari come i Verdi che volevano trovare un giusto bilanciamento tra gli interessi dei detentori del copyright, delle piattaforme e degli utenti non sono passati.
Di cosa parliamo
Gli occhi erano puntati su due articoli in particolare: l’11 e il 13.
La proposta iniziale della Commissione Europea, pubblicata il 14 settembre 2016, voleva aggiornare la direttiva del 2001 e risolvere l’annoso problema della diffusione di contenuti coperti da copyright senza permesso. Benchè nobile nello scopo, il testo ha lasciato adito a molte critiche che spaziano dal mondo accademico, alla società civile, a Wikipedia.
L’art. 11 vorrebbe dare agli editori il diritto di controllare come i link ai loro articoli sono condivisi su piattaforme come Facebook o aggregatori di news (Google News, Flipboard e altri). Il risultato potrebbe essere che se i giganti non pagassero, i link ai siti di news europei non potrebbero circolare, con un danno ingente al diritto ad essere informati. Una simile legge infatti è già stata applicata in Spagna e Google in quel caso non ha pagato e ha chiuso Google News Spagna con conseguente calo di traffico verso i siti di informazione nazionali. La ragione che sta dietro a questa norma è quella di risollevare la crisi economica della carta stampata con una soluzione che guarda al passato invece di guardare al futuro.
Sia chiaro, benchè nessuno pensi che gli articoli debbano essere pubblicati da una piattaforma gratuitamente, ben altra cosa è dire che questa debba pagare per ospitare le preview di quegli articoli che di fatto inviano traffico agli stessi siti di informazione. Se una startup deve pagare per pubblicare i link a un giornale, semplicemente chiuderà o ospiterà solo notizie di giornali non europei. Il risultato sarù quello di far circolare meno informazioni di siti europei con un conseguente calo di traffico, e di introiti pubblicitari, per questi.
L’art. 13 vuole imporre a piattaforme come Facebook, YouTube, Soundcloud, di mettere dei filtri che facciano matching tra il catalogo audio/video delle case di produzione e i contenuti che vengono caricati dagli utenti. In questo modo i contenuti sarebbero controllati a monte, prima ancora di arrivare in rete. Ovviamente, come denunciato da associazioni per la tutela dei diritti digitali come Edri, questo potrebbe portare a censurare dei contenuti del tutto leciti per non rischiare di incorrere in sanzioni, stesso rischio che si corre nel caso dei contenuti di tipo terroristico online.
Il diritto d’autore prevede infatti eccezioni numerose come la parodia (si pensi ai meme), o il pubblico dominio. Ma un algoritmo non conosce queste sfumature ed eliminerebbe tutti i contenuti anche quando leciti. Nella proposta dell’eurodeputata Schaake era previsto ad esempio era previsto che nel caso di contenzioso con l’utente, il contenuto restasse online in attesa di un confronto col detentore dei diritti nell’arco delle successive 48 ore. L’emendamento non è stato accolto e quindi se non si è qualcuno di conosciuto sarà difficile poter far valere le proprie ragioni.
I commenti a caldo
Secondo Julia Reda, eurodeputata fervente oppositrice di questo testo, il Parlamento non ha dato ascolto alle richieste di cittadini ed esperti. Dopo il voto di luglio che rinviò la discussione a oggi, i quotidiani parlarono di un risultato ottenuto solo grazie alla attività di lobby dei giganti tech, senza aluna considerazione per l abuona fede di cittadini, accademici, e personaggi del calibro di Tim Berners Lee.
Final vote for Parliament position on the copyright directive with #UploadFilters and #LinkTax: adopted. Parliament has failed to listen to citizens’ and experts’ concerns. #SaveYourInternet pic.twitter.com/gtGi6rg5kL
— Julia Reda (@Senficon) September 12, 2018
Anche per la Schaake è il peggior risultato che si potesse avere. “Un disastro per la protezione dei nostri diritti fondamentali, per gli utenti e per il futuro dell’Europa nel campo dell’Intelligenza Artificiale. Abbiamo fatto un passo indietro invece di creare una vera riforma per il ventunesimo secolo” ha scritto sul suo blog.
Worst possible outcome on #copyright vote in European Parliament just now: article 13 adopted, no TDM exemption, etc. We tried….
— Marietje Schaake (@MarietjeSchaake) September 12, 2018
E ora?
E ora il testo passerà alla fase di trilogo, il confronto tra le posizioni del Parlamento Europeo, della Commissione e del Consiglio, composto dai capi di Stato e Governo dei 27 Paesi membri dell’UE. Per quanto riguarda l’Italia la situazione è un po’ particolare visto il cambio di governo. Il PD infatti ha sempre votato a favore della riforma del copyright, con rarissime eccezioni come Benifei e Viotti, mentre il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno sempre votato contro. Ma ora che i gialloverdi sono al governo cambia anche la posizione del nostro Paese in seno al Consiglio e potrebbe esserci ancora spazio di manovra per fare delle modifiche al testo finale.