Il marketplace milanese di Alberto Lina, Marco Mura e Arturo De Giorgi è l’unica startup presentata all’anteprima dell’Apple Store di Milano. Diciotto paesi, 850 artisti, 11mila utenti: i numeri hanno convinto Cupertino a invitarli
Metti un pomeriggio a San Francisco, due amici di fronte a un’opera d’arte, e le classiche domande da ragazzi: quelle che i cresciutelli smettono di farsi. “Io e Marco ci siamo semplicemente chiesti chi decide il prezzo di un quadro, e se fosse possibile determinarlo in maniera oggettiva”. Così, nelle parole di Alberto Lina, nasce l’idea Artupia, crasi tra le parole Arte e Utopia, e sogno realizzato. Era il 2014 e Alberto, che è il CEO, aveva 18 anni. Per realizzare il progetto ne sono serviti altri tre, quelli necessari per imparare a programmare.
Studente di liceo classico, la sua è una storia che piacerebbe molto alla Silicon Valley dei baby-imprenditori. “Non mi impegnavo molto sui libri – racconta a StartupItalia! – così, dopo le superiori, ho deciso di non proseguire gli studi e dedicarmi 18 ore al giorno alla mia società”. Online da febbraio 2017, i risultati gli hanno dato ragione: 850 artisti di 18 paesi, oltre 11mila utenti di 25 nazionalità, e un’invito – unica startup – all’anteprima riservata alla stampa del nuovo Apple Store di Milano. Mica male. “Ci hanno chiamato due settimane fa, ed è stata un’occasione incredibile per costruire rapporti e contatti internazionali” racconta. La società della mela morsicata ha creduto nell’applicazione tanto da decidere di promuoverla in due sezioni differenti del suo store, Today e Apps, in Germania, Francia, Italia e Spagna.
Che cosa fa Artupia, il marketplace italiano dell’arte
Scopriamo perché Artupia è così interessante da attirare l’attenzione di Cupertino. Si tratta di un marketplace digitale in cui gli artisti possono mettere in vetrina le proprie opere esponendole come se fossero in una galleria: il prezzo non è determinato solo dalla richiesta dell’autore, ma da un algoritmo (Arturo) basato su 41 fattori. Tra gli altri, il motore software considera il tempo impiegato nella realizzazione e il costo dei materiali: ma punta, soprattutto, sul gradimento del pubblico. Una metrica misurabile in termini di like, share e, naturalmente, acquisti portati a termine. Il prezzo finale è, quindi, trasparente perché destrutturato nelle sue componenti: in questo modo i tre co-founder (assieme a Lina ci sono anche Marco Mura, 33 anni, di Sassari, che si occupa di marketing e business development, e Arturo De Giorgi, che ha studiato fisica e ha ideato l’algoritmo) hanno risposto alla domande iniziale – quella sul costo delle opere – da cui tutto cominciò negli States.
Leggi anche: Tra arte e tecnologia, abbiamo visitato in anteprima l’Apple Store di Milano
Il modello di business prevede il pagamento di una commissione del 20% su ogni transazione avvenuta. “Ma l’acquirente può anche rivendere un’opera sull’app: in questo caso – prosegue Lina – la nostra commissione scende al 15%, e il 5% lo lasciamo all’artista. Vogliamo premiare la sua creatività e incentivarlo a fare carriera sulla piattaforma”.
Il lancio della piattaforma a Milano, Londra e Berlino
Il lancio della piattaforma è un’altra storia di quelle da raccontare. “Il nostro logo è stato disegnato da Landor di Londra, la stessa agenzia che si è occupata del restyling di Apple”.
Prego?
“In effetti, quando li ho contattati pensavo di avere riservato un budget consistente, diecimila euro. Può immaginare la mia reazione quando mi hanno risposto che, per un lavoro del genere, chiedevano normalmente dalle 100mila alle 300mila sterline”. Fortuna audaces iuvat, la fortuna aiuta gli audaci, dicevano i latini: e l’account prende a cuore la causa dei tre giovani italiani. “Prima di mettere giù, mi ha detto che avrebbe proposto l’idea al board della società e mi avrebbe fatto sapere. Senza garantirmi niente”. La sorpresa arriva con una telefonata dal Regno Unito, che annuncia che Landor ha deciso di lavorare pro bono sull’immagine coordinata di Artupia.
A questo punto manca solo una campagna marketing pensata come si deve.“Landor ha immaginato un’azione di guerrilla in tre città europee, Londra, Milano e Berlino. Abbiamo stampato 5mila copie delle nostre opere, attaccato una maniglia verde su ciascuna e, in una notte di febbraio, le abbiano distribuite nei luoghi simbolo dell’arte, come Brera. Lo slogan? Take me home, portami a casa”.
La mossa ha funzionato, e la voce ha cominciato a girare.
Il futuro è internazionale. Apple, come visto, ha offerto visibilità in diversi paesi, e la base di utenti e artisti è trasversale: ciò consente di puntare anche a capitali esteri. Artupia ha già trovato un investitore (Viris Spa, holding milanese attiva nel settore immobiliare e cinematografico) e si appresta ora a un secondo round. Intanto il miglioramento tecnico procede. Lo staff composto da dieci persone ha rilasciato ieri un aggiornamento che migliora notevolmente l’algoritmo e potenzia una delle caratteristiche più innovative dell’applicazione: l’uso della realtà aumentata, che consente di visualizzare un’anteprima del quadro scelto, come se fosse appeso al muro, semplicemente puntando il cellulare verso la parete di fronte.
Tra cultura tecnica e classica
Questa storia cominciata a San Francisco si conclude con una domanda. Alberto è stato studente di un italianissimo liceo classico. In questi anni di dominio della tecnica, in cui la cultura umanistica viene spesso svilita a favore dei numeri, gli chiediamo se i pomeriggi spesi tra i libri di latino e greco abbiano giocato un ruolo nella sua storia personale, e nei risultati che ha ottenuto. “Direi di no” abbozza, spontaneo. Poi si corregge. “In realtà, molte delle materie che ho studiato senza gusto ai tempi delle superiori le sto riprendendo adesso, da solo: i professori dovrebbero trovare la maniera di renderle magiche, interessanti, e non noiose. Vinci solo quando fai cose che ti appassionano”. In bilico tra passato e futuro. Ma con i piedi ben piantati nel presente.