Sempre più piattaforme offrono lavoretti a chiamata e che sono alla base della cosiddetta gig economy. E sono anche il modo migliore per le aziende di assicurarsi copertura nei momenti critici senza assumere stabilmente nuovi dipendenti: il trionfo dell’outsourcing
Una volta le app servivano per accedere a un servizio. Oggi possono essere usate sempre più spesso per trovare lavoro nel modo più semplice e immediato che si conosca e magari offrire ad altri un proprio servizio occasionale. Tutto usando lo smartphone come mezzo. Un incentivo alla gig economy, l’instabile economia dei lavoretti, direbbe qualcuno. Un modo per aumentare le possibilità di trovare un’occupazione anche se temporanea, commenterebbero altri. Il dato di fatto, però, è che le piattaforme che permettono di cercare un lavoro mettendo a disposizione di una community le proprie prestazioni stanno attirando l’attenzione del mercato. Le cosiddette “Uber del lavoro” che uniscono domanda e offerta, anche se variegate, sono in crescita.
Le app che trovano e danno lavoro
Un esempio di questa tendenza è il round di investimento appena chiuso da Shifgig, la startup che consente ai lavoratori a ore di tenere sotto controllo le richieste delle imprese locali per eventuali turni di lavoro rimasti scoperti. L’azienda ha raccolto 20 milioni di dollari e alcuni parlano di una sua valutazione intorno ai 150 milioni di dollari. Una cifra che la fa imporre sui suoi principali competitor. Ma al di là del singolo investimento, quello delle app che sostengono chi lavora su richiesta è un fenomeno ormai registrato in tutto il mondo. La tecnologia di queste piattaforme funziona sia per i lavoratori autonomi senza mansioni fisse sia per chi gestisce un’attività e può trovarsi in una condizione di bisogno in qualsiasi momento. Per le imprese, Shiftgig, rappresenta il modo di fare una ricerca di personale praticamente senza preavviso, rintracciando nel network di lavoratori già presenti quelli con il profilo più adatto al compito da svolgere. Cuochi, baristi, addetti al call center sono le professioni che vengono più richieste sulla piattaforma.
Funzionamento analogo a quello di Shifgig anche per Workpop che dà la possibilità agli imprenditori di creare la propria offerta di lavoro da attivare ogni volta che si ripresenta la necessità di assumere per quella stessa mansione. La piattaforma suggerisce le persone che meglio soddisfano i requisiti richiesti e crea il contatto tra domanda e offerta. È presente anche un sistema di valutazione automatico dei candidati che permette alle aziende di risparmiare tempo nella selezione.
Un altro esempio è quello di Wonolo (abbreviazione di Work. Now. Locally), startup che raccoglie le richieste di lavoro e le offerte. Al momento gli utenti di Wonolo hanno superato le 25mila unità e il sito assicura alle imprese un risparmio del 40 per cento nel reclutamento della forza lavoro.
Perché l’outsourcing veloce conviene alle aziende
Il problema che si pone di fronte al moltiplicarsi di esperienze del genere è l’uso che le aziende possono fare di questo metodo alternativo di assuzione a termine. Le analogie di questi servizi con Uber, l’applicazione che aiuta a trovare un autista per gli spostamenti in città, stanno negli introiti più o meno stabili che riescono ad assicurare e nella flessibilità che offrono.
D’altra parte, però, non esistono garanzie per i lavoratori ad esempio in caso di infortuni. C’è poi un discorso più ampio da fare sul modo in cui le aziende calibrano la loro forza lavoro in base ai momenti di carico maggiore. Senza la possibilità di rivolgersi a piattaforme come queste, gli imprenditori dovevano necessariamente assumere a tempo indeterminato trovandosi magari ad avere più dipendenti del necessario in alcuni momenti per essere pronti ad affrontare i picchi. Oggi, non sono più obbligati a farlo: «Abbiamo già visto molti commercianti, albergatori e altre attività programmare algoritmi che hanno portato a un lavoro a breve termine e variabile», ha detto a New Republic Susan Houseman, economista all’Upjohn Institute. Tutto questo significa che l’avvento di queste applicazioni rende ancora più semplice il ricorso all’outsourcing, la forza lavoro esterna che solleva i datori di lavoro dagli oneri di assunzioni stabili portando alla fine definitiva del “tempo pieno”. Wonolo ad esempio è stata usata da Coca Cola per rifornire di bibite su richiesta i negozi senza doversi affidare a rissorse interne.
La gig economy in Italia: il caso Foodora
Il dibattito su questa nuova modalità di occupazione si è sollevato in maniera prepotente anche in Italia con il caso della rivolta dei fattorini Foodora a Torino e a Milano che denunciavano pagamenti troppo bassi per le loro prestazioni e l’assenza di qualsiasi garanzia nello svolgimento dell’attività di consegna di cibo a domicilio in bicicletta. La chiave per il funzionamento di questo business è mantenere i lavoratori come autonomi scaricando quindi su di loro tutti gli obblighi riguardo alle norme di sicurezza e agli adempimenti fiscali. E soprattutto puntare sul bisogno che gli iscritti alla piattaforma hanno di lavorare per assicurarsi qualche entrata anche saltuaria in tempi di crisi occupazionale.