Esiste, anche se a volte solo nelle nostre abitudini. Abbiamo incontrato i fondatori della startup francese Back Market, appena arrivata in Italia, che si propone come l’Amazon del ricondizionato.
Da un iPhone l’anno a uno ogni quattro mesi e mezzo. È questo il dato che fotografa la crescita di un fenomeno controverso e spesso poco dibattuto: quello dell’invecchiamento (reale o percepito) dei nostri dispositivi elettronici. I numeri ci dicono che Apple e Samsung hanno raddoppiato negli ultimi due anni il tempo di uscita dei nuovi modelli. Un ritmo forsennato, che ha come effetto quello di accorciare drasticamente la vita media degli apparecchi. E con il lancio del nuovo gioiello di casa Apple tornano in auge le polemiche sull’invecchiamento “strategico” dei prodotti elettronici.
Perché si parla di obsolescenza programmata
Prodotti programmati per durare poco? In realtà, come teorizzava Steven Brooks già negli anni Cinquanta, il lato oscuro dell’obsolescenza programmata sembra essere la sua dimensione psicologica. “Un po’ più nuovo, un po’ più performante…e un po’ prima del necessario” è il motto che racchiude in sé tutta la volubilità dei desideri dei consumatori.
In sostanza, milioni di persone si farebbero convincere ad acquistare nuovi prodotti senza che ve ne sia effettivamente bisogno.
La breve vita media degli smartphone – tre anni per gli iPhone, due e mezzo per gli altri modelli (dati ADEME) – e il consueto fenomeno del rallentamento dei device in prossimità dei keynote sono però, a ben vedere, le chiavi per generare negli utenti la percezione di un cambio necessario.
La startup amica del risparmio e dell’ambiente
«La nostra è una bulimia elettronica spinta a dovere da numerosi produttori di smartphone». Ha dichiarato Vianney Vaute, uno dei tre soci fondatori (insieme a Thibaud de Larauze e Quentin Le Brouster) della startup francese Back Market. Con la loro piattaforma – una sorta di “Amazon del ricondizionato” – promuovono la pratica del riuso per ottenere un cospicuo risparmio economico e, al contempo, aiutare l’ambiente.
In pratica, rimettono a nuovo i prodotti (con l’aiuto di alcuni partner industriali) e offrono spazio alle aziende ricondizionatrici per la vendita. Sono da poco arrivati anche in Italia ed è con loro che abbiamo cercato di capire in che direzione sta andando il mercato dell’elettronica di consumo e come potrebbero cambiare, di qui a qualche anno, le nostre abitudini di acquisto.
Come nasce l’idea di Back Market?
«Secondo noi, il miglior modo di lottare contro lo spreco elettronico è far diventare i ricondizionati un fenomeno di massa. Un mercato a sé, indipendente dal nuovo. Per farlo, è necessario sfatare il falso mito della scarsa qualità dei prodotti ricondizionati, spesso confusi con l’usato, e facilitare l’accesso a questa gamma di prodotti. Ed è proprio quello che abbiamo cercato di fare con Back Market, una sorta di supermercato del ricondizionato».
O, per meglio dire, l’Amazon del ricondizionato.
«Sì, esatto. In effetti, Back Market funziona un po’ come Amazon. La piattaforma effettua la triangolazione fra le aziende ricondizionatrici che caricano i loro prodotti e il pubblico, che acquista direttamente dal sito».
Quali difficoltà incontrate?
«Innanzitutto, dobbiamo dire che spesso in Italia quando si parla di ricondizionato si pensa soltanto a smartphone e tablet. In realtà parliamo di qualsiasi elettrodomestico, dal frigorifero al tostapane. Questo è importante, perché c’è poca consapevolezza sull’argomento. Spesso poi questi prodotti sono nascosti nelle reti di usato senza garanzie o poco pubblicizzati dalle catene della grande distribuzione, per non rischiare di cannibalizzare il mercato del nuovo. E alla fine, le persone sono portate ad associare i prodotti ricondizionati ad una scarsa qualità».
Cosa rende il ricondizionato più affidabile di un prodotto usato?
«Il processo stesso è garanzia di qualità. I nostri prodotti sono venduti da aziende certificate. Hanno subito un check-up completo: schermo sempre nuovo, elenco dei pezzi sostituiti o riparati, obbligo di una batteria con minimo 80% della carica. E sono garantiti da 6 mesi a 1 anno».
Quali differenze avete riscontrato tra il mercato francese e quello italiano?
«In realtà, in Italia il mercato è ancora in piena costruzione. Non è ancora chiara la differenza fra ricondizionato e usato, o tra ricondizionato e riciclato. E men che meno si è pensato di estendere la pratica a prodotti che non siano smartphone o tablet. In Francia c’è sicuramente maggiore attenzione sul tema e il termine ricondizionato è entrato a far parte del linguaggio comune. Le aziende ricondizionatrici hanno spesso siti online in cui già vendono direttamente al pubblico. Sono grandi nomi e sanno farsi conoscere, anche sui social».
Un problema culturale.
«Ci vuole tempo. Ma la cultura dell’acquisto e del consumo può cambiare. Ad esempio, fra le azioni di successo di Back Market c’è “L’altro Keynote”, un appuntamento annuale organizzato in occasione della presentazione del nuovo iPhone e dedicato alla promozione dei prodotti ricondizionati. Un’iniziativa come questa sarebbe importante anche in Italia, per aumentare la fiducia dei consumatori. E poi ci vuole un’offerta solida e garantita. E devono diventare dei prodotti appetibili, “cool”, e non solo un mero ripiego economico. Per le aziende invece, sarà questione di adeguarsi al modello Internet. Ancora molto in Italia resta legato a iniziative e negozi fisici».
La diffidenza nasce quindi anche dalla suggestione psicologica?
«È vero. Ma anche in questo caso, la conoscenza è fondamentale. Bisogna ricordare che un prodotto ricondizionato può essere semplicemente un prodotto d’esposizione. O un ordine rinviato al mittente. Questi prodotti non possono essere reinseriti nel circuito del nuovo, ma obbligatoriamente in quello del ricondizionato. Aver coscienza di questo sarebbe un altro passo in più».
Quali vantaggi dal punto di vista ambientale potrebbe portare un tale cambiamento nelle abitudini di consumo?
«Rispetto al riciclaggio, il ricondizionamento non implica la nuova fase di produzione del prodotto, la più inquinante. Far entrare i ricondizionati nelle nostre abitudini di consumo permetterebbe di ridurre la quantità esorbitante di rifiuti elettronici, la tipologia che registra la maggiore crescita in tutto il mondo».
Secondo voi, c’è percezione da parte del pubblico del vantaggio ambientale oppure l’acquisto è motivato solo da un vantaggio economico?
«La verità è che in paesi come Francia e Germania sembra esserci una concezione ambientale più alta rispetto a Spagna, Italia e Belgio, dove i consumatori sono più interessati alla questione economica».
Eppure, nel nostro paese ogni anno produciamo ben 800 tonnellate di rifiuti elettronici. Legambiente ci dice inoltre che in Italia solo il 35% dei RAEE viene regolarmente smaltito: il rimanente 65% finisce in circuiti illegali, bruciato in discariche a cielo aperto, o abbandonato. Recentemente, sono state presentate tre proposte di legge in Parlamento contro l’obsolescenza programmata che prevedono garanzie più lunghe, pezzi di ricambio disponibili finché il prodotto è sul mercato e controlli più severi. Intanto, diverse aziende italiane cominciano ad aderire alla piattaforma dei tre giovani startupper francesi. Ad oggi Back Market ha già raggiunto quota 62 aziende integrate, con oltre 40 mila clienti e 20 milioni di fatturato annunciati per il 2016. In attesa di “affacciarsi” anche fuori dai confini europei.