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Intervista a Marco Simoni, presidente della Fondazione Human Technopole, a margine del grande evento finale del progetto “Biotech, il futuro migliore”
“Il made in Italy? È innanzitutto il life science. Poi viene il cibo, la moda, il design…”. Marco Simoni, presidente della Fondazione Human Technopole (HT), non ha dubbi: sotto questo profilo, l’Italia ha tutte le risorse per giocare un ruolo da protagonista a livello internazionale. Simoni è stato uno dei tanti ospiti illustri, che lo scorso 9 novembre ha partecipato al grande evento finale del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”, promosso da Assobiotec Federchimica in partnership con StartupItalia.
Il progetto, tra giugno e ottobre, ha previsto quattro appuntamenti preparatori al grande evento del 9 novembre, che ha costituito l’occasione per presentare un Piano e un Documento di posizione – costruiti con gli stakeholder del settore e le Istituzioni – con proposte operative per la crescita e lo sviluppo del settore, da mettere a disposizione del Governo italiano, per valorizzare la filiera del biotech e, dunque, disegnare il futuro di un’Italia più in salute e più sostenibile.
Abbiamo intervistato il presidente della Fondazione Human Technopole, per approfondire alcune delle tematiche emerse nel corso del suo intervento.
Intervista a Marco Simoni
StartupItalia: Presidente, durante il progetto “Biotech, il futuro migliore”, ha ribadito che gli ecosistemi scientifici costituiscono il più importante anticorpo delle nostre società nei confronti di crisi inaspettate. In che senso?
MS: Noi abbiamo sempre avuto una concezione della ricerca scientifica legata a due obiettivi fondamentali: uno riguarda la capacità di migliorare la qualità di vita delle persone, grazie all’incremento delle conoscenze sul mondo che ci circonda, sul corpo umano; l’altro è legato allo sviluppo e alla crescita economica di un Paese. Oggi siamo davanti a un fatto nuovo, mai successo prima: una pandemia globale in cui un nuovo virus si diffonde in maniera estremamente rapida in tutto il mondo, dopo aver compiuto il salto dall’animale all’uomo.
SI: Perché non è mai successo?
MS: Perché il mondo non è mai stato così connesso, non ci sono mai stati così pochi gradi di separazione tra, ad esempio, un contadino della Cina, che magari vive ancora seguendo delle tradizioni molto antiche, e un uomo o una donna che vivono nel cuore di New York o di Milano. Una simile connessione ci espone a dei rischi che prima non esistevano, ma questo invece non è un fatto nuovo.
SI: Che intende?
MS: Nella storia dell’umanità, a ogni fase di sviluppo corrispondono benefici, ma anche rischi di tipo diverso. Per fare un esempio concreto, le rivoluzioni industriali che sono avvenute all’inizio e alla fine dell’800, e poi la successiva introduzione dello stato sociale, hanno consentito un benessere diffuso. Tuttavia, questi miglioramenti si sono accompagnati a nuovi rischi: la disoccupazione non esisteva prima della società industriale, perché le persone lavoravano in ambito agricolo, dove non esisteva neanche il concetto di orario di lavoro. In un mondo iperconnesso come il nostro, dobbiamo prepararci ad affrontare shock globali, che comportano un costo enorme per le nostre società. L’attuale emergenza sanitaria ci ha richiamato con forza alla realtà, ricordandoci che i rischi di nuove pandemie, come del resto quelli legati al cambiamento climatico e alle grandi migrazioni – solo per citare i fenomeni di dimensioni più grandi – vanno di pari passo con questa nuova fase dello sviluppo economico e, soprattutto, tecnologico, che sta vivendo il nostro mondo. In questo contesto, l’ecosistema scientifico è il più importante anticorpo delle nostre società, perché ci consente di reagire in maniera più efficace e robusta a crisi inaspettate. Riguardo alla pandemia da nuovo coronavirus, ad esempio, tutto quello che abbiamo messo in campo fino adesso, lo dobbiamo all’alta densità scientifica del nostro Paese.
SI: Specifichiamo il concetto di ecosistema scientifico.
MS: Io mi riferisco a un ecosistema composto soprattutto da persone: gli scienziati che lavorano nei diversi ambiti, ma anche i manager, i tecnici e il personale specializzato. E poi ci sono le tecnologie, di cui ci sono diversi tipi: da quelle per la ricerca pura, di grandi dimensioni, che noi ospitiamo in Human Technopole, alle tecnologie di dimensioni minori, che sono più diffuse, fino a quelle di tipo industriale.
SI: Possiamo ripartire dalla scienza? Lo chiedo sia all’economista che al presidente della Fondazione Human Technopole.
MS: Questa crisi economica si può superare solo avendo come punto di partenza la costruzione e il rafforzamento degli ecosistemi scientifici su cui può contare il nostro Paese. Ma bisogna pensare già al dopo, mobilitando energie per progetti di medio-lungo periodo, che possono basarsi solo sulla scienza e la ricerca, e dovranno riguardare tutta la filiera. Secondo me, l’Italia è nelle condizioni di poterlo fare in tre o quattro campi scientifici.
SI: Quali?
MS: La chimica verde, il settore dell’energia e aerospaziale, e quello fondamentale delle scienze della vita. Anzi, possiamo dire che oggi il made in Italy – oltre al cibo, la moda e il design – abbia una quarta gamba, che è rappresentata proprio dalle life science, perché dal punto di vista scientifico, tecnologico e industriale, l’Italia è uno dei paesi più importanti al mondo e, con l’uscita del Regno Unito dall’UE, può giocare un ruolo da protagonista in ambito europeo.
SI: Qualcosa si sta muovendo in questa direzione: il DL Rilancio, lo scorso luglio, ha dato il via libera allo stanziamento di 10 milioni di euro per il 2020 e di 2 milioni di euro annui dal 2021, quale concorso dello Stato alle spese di promozione e finanziamento di progetti di ricerca altamente innovativi, realizzati in collaborazione con le imprese dalla Fondazione Human Technopole, attraverso il ‘Centro per l’innovazione e il trasferimento tecnologico nel campo delle scienze della vita’, con sede in Lombardia. A che punto siamo riguardo a questo centro?
MS: Stiamo portando avanti il progetto, dialogando in maniera intensa con tutti gli stakeholder dell’ecosistema delle scienze della vita. La sfida è quella di mettere sotto lo stesso tetto quelli principali, per avviare un dialogo costante: i produttori di proprietà intellettuale, ovvero i centri di ricerca; gli utilizzatori di proprietà intellettuale, l’industria; e i finanziatori di questi trasferimenti tecnologici, la finanza. In Italia, abbiamo una ricerca ad altissimo livello, una finanza disponibile e un’industria che è prima in Europa, ma non abbiamo un luogo dove tutti questi attori possano incontrarsi e lavorare insieme, in modo sistematico. Questo è un gap che noi stiamo cercando di colmare. Il mio auspicio è che questo centro possa iniziare a essere operativo già all’inizio del prossimo anno, tra gennaio e febbraio, quando ci verranno consegnati anche i primi laboratori. Di sicuro, diventerà pienamente operativo nel corso del 2021.
SI: L’11 novembre, HT ha annunciato i vertici del Centro di Genomica, con la nomina congiunta di Nicole Soranzo e Piero Carninci, che diventano rispettivamente responsabili del programma di ricerca in Genomica medica e di popolazione e del programma di Genomica funzionale. Due scienziati italiani di fama internazionale, che non hanno mai lavorato in Italia dalla laurea e hanno ricoperto ruoli di grande responsabilità in centri di ricerca famosissimi nei loro campi. Qual è la ricetta per attrarre questi talenti e farli ritornare in Italia?
MS: Noi abbiamo delle regole che ci rendono più simili ai grandi centri di ricerca internazionali. È questo il fattore chiave, più di qualsiasi altro aspetto. Alla fine, se mettiamo gli scienziati nelle condizioni di realizzare o proseguire le proprie attività di ricerca, offrendogli tutti gli strumenti necessari, questi preferiranno un luogo dove si vive meglio e non c’è un posto, al riguardo, meglio dell’Italia. Il nostro Paese, dal punto di vista strutturale, ha tutte le possibilità di attrarre i migliori talenti del mondo, però è chiaro che bisogna offrirgli delle situazioni analoghe. Rispetto ad altri centri di ricerca, inoltre, stiamo portando avanti un dialogo costante con l’industria e la società. Lo riteniamo fondamentale, perché dobbiamo costruire fiducia nella scienza. In questo senso, mi auguro che la nostra esperienza possa dimostrare che ciò che si riteneva impossibile, in realtà si possa fare.
SI: La prima edizione dell’Early Career Fellowship Programme di Human Technopole permette a cinque giovani scienziati di competere per una borsa di studio di 200.000 euro all’anno per cinque anni, per un investimento complessivo di 5 milioni. Il programma è aperto a giovani di ogni nazionalità che abbiano completato un dottorato di ricerca negli ultimi otto anni. Condizione vincolante è la scelta di un istituto di ricerca o un’università italiana per sviluppare il proprio progetto di ricerca. Presidente, l’Italia può diventare un Paese per giovani grazie a Human Technopole?
MS: Di sicuro, dobbiamo fare il massimo sforzo per renderlo un posto dove i giovani possano desiderare essere. Questo è il nostro dovere, che in qualche modo non è stato assolto dalla generazione dei nostri genitori. Un Paese che non è amico dei giovani è un Paese che si impoverisce, si avvizzisce, ma io sono convinto che esistano tutte le condizioni per agire in maniera diversa. Il bando che abbiamo lanciato per i giovani ricercatori, e che sarà aperto fino alla fine di gennaio del prossimo anno, è molto importante perché diffonderà in tutta Italia la ricerca nelle scienze della vita: nei prossimi 4 anni, infatti, ci saranno 20 nuovi capi di ricerca in 20 diverse università italiane. Queste borse di studio sono come il lievito che serve al pane per crescere: nel nostro lievito ci sono le tecnologie, l’organizzazione e gli strumenti con i quali gli scienziati possono realizzare i propri studi e scoperte. Se il nostro progetto riesce ad andare avanti come lo stiamo costruendo, tra un po’ di anni mi immagino che gli scienziati ci stupiranno con cose che ora non riusciamo neanche a immaginare.