E’ noto in mezzo mondo come Sree, ed è il nuovo chief digital officer di New York. In questa intervista spiega a Startupitalia perché la città sta puntando tutto su startup e innovazione e quali sono le direttrici chiave con cui stanno attraendo talenti da tutto il mondo
Sreenath Sreenivasan, 46 anni, per tutti Sree (la difficoltà di pronuncia del nome è tale anche per gli americani), è il Chief Digital Officer della città di New York. L’assessore all’innovazione, per dirla all’italiana. Dopo gli inizi da giornalista specializzato in tecnologia – ha fatto parte della scuola di giornalismo della Columbia University – Sree è passato negli ultimi anni ad avere ruoli operativi sul fronte del digitale, come Cdo della stessa Columbia e del Metropolitan Museum. Questa estate è arrivata la chiamata del sindaco democratico Bill De Blasio. Poco dopo essere entrato in giunta, ha assistito all’elezione di Donald Trump. «La mattina dopo l’elezione, De Blasio ha riunito tutto lo staff in una sala del municipio. Dopo aver preso atto del risultato, ci ha detto solo di continuare a lavorare a testa bassa, e di dare il meglio, ora più che mai. Un momento e una lezione da non dimenticare», ha detto.
Del resto, anche in un evento così Sree riesce a trovare uno spiraglio di ottimismo: «Viviamo in un mondo dove Trump è presidente e Bob Dylan premio Nobel: significa che davvero tutto è possibile!». Il mese scorso, a Milano, ha firmato un protocollo d’intesa con il Comune, per uno scambio di conoscenze ed esperienze digitali. Nel farlo ha citato il NYC Digital Playbook, un manuale basato una serie di principi che vanno dal “mobile first” all’accessibilità da parte dei disabili: le basi ideali per le piattaforme digitali rivolte ai cittadini. Abbiamo posto a Sree qualche rapida domanda sulla relazione di New York e la tecnologia, e su come sia possibile mettere su una politica pubblica favorevole alle startup.
«Perché oggi New York è meglio della Silicon Valley»
Come fa un ente pubblico, come il comune di New York, a iniziare una relazione con le startup, e ad essere loro utile?
«Ci sono molte opportunità per le startup di lavorare molto bene a New York. Noi vogliamo porci come un’unica fermata per le startup a New York, in modo che se vengono da noi si trovano di fronte una singola risorsa di aiuto. C’è talmente tanta informazione là fuori…quindi bisogna semplificare. Un bellissimo sito con la lista di tutte le startup e tutte le risorse è solo l’inizio. Vogliamo che startup sopravvivano, prosperino, si trasferiscano e vivano a New York. Molti VC sono già a New York e abbiamo molteplici settori economici attivissimi: dalla moda a Wall Street, dalle banche al turismo alla cultura e ai media… Ricordate il film The Social Network (sulla nascita di Facebook, ndr)? I protagonisti lasciano Boston e devono scegliere tra New York e San Francisco, la Silicon Valley. Nel 2004, aveva senso andare nella Silicon Valley. Oggi, sosteniamo la causa del venire a New York. Per quelle che chiamiamo le collisioni di New York: tutte queste industrie che lavorano una di fianco all’altra, e la scala è così grande…per questo vogliamo ci teniamo».
Portare tutto il futuro del tech nella grande mela
Può parlarci della Tech Talent Pipeline?
«È una grande idea, e io amo le grandi idee! Come possiamo essere sicuri di avere il prossimo Zuckerberg qui? A New York si impiegano sempre più ingegneri da fuori, ma come facciamo sopravvivere l’industria tech dentro, così che non dobbiamo soltanto impiegare dall’estero? Dobbiamo invertire questo trend. È qualcosa su cui siamo molto eccitati. E c’è il programma di “Computer science for everyone”, dall’asilo dritto fino al college. Mettiamo in contatto realtà economiche ed università. Parliamo con le aziende per chiedere quali sono le competenze che vogliono; poi comunichiamo con l’università per chiedergli di insegnarle. Far lavorare insieme questi due ambiti è una grande parte di ciò che facciamo. È l’esempio di una impostazione che potrebbe generare migliaia di lavori nella tecnologia. E non mi riferisco solo alle startup. Vuol dire grandi compagnie tecnologiche, e lavoratori tecnologici in compagnie non tech. Non mi riferisco solo al coding, ma ogni tipo di tecnologia, e ad ogni aspetto…ad esempio i designers».
Quali sono le più importanti istanze digitali che una città come New York deve affrontare? Quali servizi sono più urgenti?
«Dobbiamo portare la banda larga nelle mani di più persone. Dobbiamo assicurarci che i cittadini abbiano la giusta tecnologia da poter usare al momento giusto. Dobbiamo aiutarli a trasformarsi, per essere pronti alla nuova economia, con i lavori di nuovo tipo. Il digital divide della città ha tanti aspetti, ad esempio i problemi sui trasporti…Dobbiamo lavorarci in modo molto smart e il più velocemente possibile. Ci stiamo provando. Ma è una lunga, lunga opportunità per noi. Mi emoziona. E speriamo di tenerci in contatto con città come Milano, sarà utile senz’altro».
Francesco Riccardi