Federico Guerrini racconta My misadventure in the start-up bubble, il libro dell’redattore di tecnologia di Newsweek che ha tentato la carta della giovane azienda innovativa
Sedie e tavoli colorati, distributori di bibite gratuite, persino palestre e sale massaggi. Sono belli, gli uffici delle startup tecnologiche americane, ispirati ai più celebri luoghi di lavoro di Google o Facebook, più simili a graziosi kindergarten che ai seriosi uffici tradizionali. C’è però un lato oscuro di tanto giovanilistico sbrilluccichìo, magistralmente raccontato dallo scrittore statunitense Dan Lyons in Disrupted. Trovatosi disoccupato a cinquant’anni, l’ex redattore di tecnologia di Newsweek prova la carta della giovane azienda innovativa, con la speranza, non troppo segreta, che quest’ultima si quoti in Borsa, tramutando le sue stock option in oro.
La sedia per l’orsacchiotto
L’esperienza non è delle più felici. Assunto ad Hubspot come marketing fellow si trova ben presto a fare i conti con una realtà che appare ben diversa dall’immagine patinata delle brochure. Cinica. Spietata. A tratti surreale. come quando, in quella che viene spacciata come una geniale innovazione di marketing, uno dei fondatori decide che nelle riunioni una sedia verrà riservata a un orsacchiotto, installato sul trono in rappresentanza del consumatore.
Graduated, licenziata
E questa è una delle tante stranezze raccontate da Lyons, come il fatto che quando una persona viene licenziata, spesso senza preavviso e senza una chiara motivazione, nel mondo di Hubspot si dice (o si diceva, dopo il libro pare che l’azienda abbia cambiato sistema) che si è “laureata”, graduated, come se fosse un evento lieto e non un dramma personale e familiare. O che il ceo possa prendere una decisione, senza che i sottoposti ci diano il benché minimo peso, sapendo che se ne dimenticherà il giorno dopo.
Arrivare qui è stato come approdare in una qualche isola remota dove un gruppo di persone è vissuta in isolamento per anni, creando le proprie regole e, in un certo grado, inventando la propria realtà
scrive Lyons in uno dei passaggi chiave del libro.
Sfruttati e felici
In basso, una massa di ventenni entusiasti di lavorare per due spicci, in cambio di “perks” e magliette colorate. In alto, un circolo ristretto di quarantenni a cui interessa soltanto diventare ricchi prima possibile, che hanno ormai capito come gira il mondo, e come sia possibile, con qualche giochetto linguistico e qualche piccolo benefit, creare una cultura che renda l’impiegato non soltanto sfruttato, ma felice di esserlo.
Polli da batteria
A Hubspot lo slogan è “cambiamo il mondo” solo che, in effetti, l’azienda fa più che altro telemarketing aggressivo per vendere dei normalissimi sistemi di gestione aziendale. Lo scollamento fra la realtà, fra gli addetti al call center stipati come polli da batteria e sottoposti a pressioni enormi per vendere una licenza in più, e la retorica di impresa, non potrebbe essere più urticante.
Una riflessione per tutti
Vi ricorda qualcosa? Se avete fatto le vostre esperienze nel magico mondo dell’innovazione (che, sia ben chiaro e a scanso di equivoci, ha tantissimi pregi e non è certo peggiore di tanti altri settori) probabilmente questo vi suonerà in qualche modo familiare. In effetti, il pregio del libro di Lyons sta nel trasformare una vicenda personale, quella dell’uomo di mezza età che deve reinventarsi da zero, in una riflessione universale ed estremamente attuale. Quanto c’è di vero, nella magica narrazione dell’innovazione, e quanto è in realtà un “sales pitch”, un modo per vendere e far digerire situazioni altrimenti non accettabili? Come è possibile che, di fronte al teddy bear in sala riunioni nessuno rida o sollevi la minima obiezione? C’è posto per l’ironia e l’autoironia in un mondo che sempre più sembra crogiolarsi nella venerazione di figure apicali, spesso alla guida di aziende che non generano profitti, ma sopravvivono cercando di restare a galla, nella speranza di spartire le perdite col pubblico tramite un’Opa che farà ricchi – solo – i fondatori? E come mai, laddove si parla tanto di “rispetto delle diversità” e di “abbattere le barriere” di razza, di età e di genere, il 90% dei dipendenti sono maschi, bianchi e poco più che adolescenti?
Ma in Europa…
Si potrebbe obiettare, e lo si è fatto, che non tutte le startup sono come Hubspot, e che casi simili sono possibili soprattutto sul suolo americano, favoriti dalle scarse regolamentazioni e da una mentalità che vede come unico valore la competizione. Fai in fretta, rompi tutto, e chi se frega di chi rimane preso in mezzo, ovvero le persone. In Europa è tutto più sfumato: di solito, anche se non sempre, migliore. È vero anche che, per altri giornalisti riciclatisi in imprenditori e impiegati di startup, l’esperienza è stata positiva.
L’età non più verde e il cinismo professionale del reporter di lungo corso, nel caso di Lyons, possono avere avuto un peso nella sua difficoltà di adattarsi di “fit in”. La stessa azienda, dopo che il successo del libro ne aveva fatto abbassare le quotazioni ha cercato di replicare, in un post su Linkedin che però, secondo molti commentatori non faceva chiarezza su diversi punti chiave.
Vittima sacrificale compiaciuta
Ad Hubspot sono mancati e non mancano i sostenitori, di solito colleghi imprenditori, che dipingono l’autore di Disrupted come cinico, frustrato e perennemente compiaciuto del proprio ruolo di vittima sacrificale. Una figura a penosa e a tratti un po’ ridicola. Tuttavia, quando, a seguito di un’indagine dell’FBI, si viene a scoprire che alcuni dirigenti (poi licenziati) avevano cercato di impedire la pubblicazione del libro, tramite hacking ed estorsione, cercando nelle vite degli editori del fango, in modo da ricattarli e indurli a soprassedere, è difficile ritenere che Lyons possa aver male rappresentato il proprio ambiente di lavoro. Ed è difficile non pensare che, come nelle corti medioevali dove tutti dicevano di sì per non inimicarsi il signore, anche nel caso di alcune aziende tecnologiche che cercano di far passare un’immagine di sé del tutto irreale, l’unico ad avere il coraggio di dire la verità è sovente colui che passa per il buffone.