Vision Fund è pronta a riversare milioni di dollari nell’Internet delle cose, nell’intelligenza artificiale, nella robotica, nel biotech, nel fintech, nelle telecomunicazioni
Un fondo da 93 miliardi di dollari (con l’idea di arrivare a 100 miliardi entro novembre), un piano con una visione di qui a 300 anni, l’obiettivo di diventare l’azienda con la valutazione più alta al mondo. Ci sono molti, forse troppi superlativi nell’annuncio di SoftBank: l’azienda di telecomunicazioni giapponese, fondata e diretta da Masayoshi Son, ha annunciato la creazione di Vision Fund, istantaneamente diventato il fondo di investimento tech più ricco al mondo.
L’annuncio c’è stato sabato, a Riyadh, in Arabia Saudita, proprio mentre Donald Trump incontrava Re Salman. Il motivo? I sauditi sono tra i principali investitori nel fondo dopo SoftBank, per loro è un chiaro tentativo di diversificare gli investimenti e le prospettive in vista di un’economia post-petrolio. Il piano saudita si chiama Vision 2030 e aveva portato Re Salman a Tokyo qualche mese fa: un viaggio molto chiacchierato, un entourage di 1000 persone, la visita all’imperatore, gli hotel di lusso. Ma dietro la forma, c’erano la sostanza, e i soldi.
Vision Fund investirà milioni nell’IOT
Con SoftBank e Arabia Saudita, in Vision Fund ci sono Abu Dhabi, Apple, Qualcomm. Nessuno al mondo era riuscito a mettere insieme tanti capitali da investire sulla tecnologia. Ora l’unico limite è la fantasia: Vision Fund è pronta a riversare milioni di dollari nell’Internet delle cose, nell’intelligenza artificiale, nella robotica, nel biotech, nel fintech, nelle telecomunicazioni. I primi investimenti sono partiti prima ancora che il fondo fosse chiuso.
5,5 miliardi sull’Uber Cinese
La visione sarà anche da qui a 300 anni, ma Masayoshi Son ha fretta. Ad aprile, Vision Fund ha investito 5,5 miliardi di dollari in Didi Chuxing, l’«Uber cinese». Oltre che in Didi Chuxing, Vision Fund ha già investito 1 miliardo di dollari in OneWeb, una startup che punta a portare la connettività ovunque nel mondo, e 300 milioni di dollari in WeWork, una startup che affitta uffici a piccole aziende e freelance.
«Non saremo un fondo come gli altri», aveva detto Masayoshi Son, «La maggior parte dei nostri investimenti sarà tra il 20 e il 40 per cento, saremo l’azionista principale, siederemo nei consigli di amministrazione, in una posizione per discutere le strategie con i fondatori». Su Masayoshi Son c’è una già una vasta letteratura: Bloomberg ha raccontato del quaderno dove, da bambino cresciuto sulle isole Kyushu, Son annotava le invenzioni che un giorno avrebbe creato. Ora, con Vision Fund, dovrà solo riaprirlo e decidere dove indirizzare questa montagna di soldi. Il fondo avrà una sede nell’elegante sede di Mayfair, a Londra.
Il timore della bolla
Molti stanno leggendo la biografia di Masayoshi Son anche come un catalogo di segni su come cambierà il mondo del tech dopo la creazione di Vision Fund. Durante la bolla di Internet, alla fine degli anni ’90, Son aveva investito in 800 aziende, una frenesia che quando la bolla scoppiò fece crollare le azioni di SoftBank del 99%. Una prospettiva non bella per chi teme che già ora il venture capital nella tecnologia stia vivendo una bolla che sta gonfiando prezzi e valutazioni. Ma Son, pur in quella frenesia che lo aveva quasi rovinato, aveva saputo investire 20 milioni di dollari in Alibaba. Ora quell’investimento è stato rivalutato di 4500 volte, fino a 90 miliardi di dollari.
Son si è sicuramente dimostrato anche un abile stratega. A dicembre, aveva incontrato Donald Trump nella Trump Tower, erano le settimane tra le elezioni e l’insediamento. Trump aveva promesso di attirare investimenti stranieri e la visita di Son era stata uno spot perfetto per entrambi. Trump aveva potuto annunciare che SoftBank avrebbe usato Vision Fund per creare 50mila nuovi posti di lavoro sul suolo americano. Son aveva visto le azioni di SoftBank schizzare in una sola settimana del 6,1%, un salto che lo aveva anche trasformato nell’uomo più ricco del Giappone. Nel 1992, Son aveva concesso una curiosa intervista ad Harvard Business Review. Son racconta gli anni tra la laurea (a Berkeley) e il successo imprenditoriale: «Tutti, mia moglie, i miei amici, i miei genitori, erano preoccupati. Mi chiedevano: cosa farai? Hai trascorso anni a studiare negli Stati Uniti, e ora non stai facendo niente. Ecco, io stavo pensando, passavo il mio tempo a pensare, a studiare cosa fare. Ho comprato tutti i libri che ho potuto e ho deciso cosa avrei fatto nei successivi 50 anni». Aveva 35 anni.