SoundBetter è solo l’ultima acquisizione in ordine di tempo dopo SoundTrap o Anchor buona anche per il mercato dei diritti: le ragioni di tanti investimenti oltre lo streaming
Spotify mette a segno un altro colpo sulla strada della diversificazione del suo business. Compra SoundBetter, un piccolo ma radicato marketplace che non solo mette in contatto musicisti e addetti ai lavori aiuta anche gli artisti a distribuire la musica che vogliono cedere in licenza. Sono 180mila gli utenti registrati e 19 milioni i dollari pagati a musicisti e produttori, un milione al mese, ma il punto non è il giro d’affari quanto la strategia. A Spotify lo streaming non basta più e, dai podcast alla distribuzione fino alla produzione, mese dopo mese mette a punto acquisizioni magari “piccole”, se viste con la lente di chi è abituato alle operazioni roboanti, ma estremamente lungimiranti.
Lo shopping di Spotify
Qualche esempio? Negli ultimi anni la piattaforma anglosvedese ha acquistato SoundTrap (2017) per la realizzazione di contenuti audio su cloud e, lo scorso anno, Anchor, un’app per realizzare podcast in modo semplice (e, volendo, guadagnarci qualcosa). Ovviamente la musica – e non i podcast – continua a essere il centro dell’ecosistema della creatura di Daniel Ek. Ma nella convinzione che occorra allargare l’ambito dei servizi offerti ai musicisti e agli artisti. SoundBetter è dunque una mossa non troppo significativa dal punto di vista finanziario per il colosso da (più o meno) 24 miliardi di dollari ma rivelatrice della strada che sta prendendo la piattaforma (a proposito, gli utenti sono 232 milioni, quelli paganti 108).
La startup newyorkese, fondata nel 2012 da Shachar Gilad (Ceo) e Itamar Yunger (Cto), ha finalizzato numerosi round di finanziamento da nomi come 500 Startups, Foundry Group, Eric Ries e Verizon Ventures e Drummond Road. Non verrà chiusa ma continuerà a lavorare per integrare i suoi servizi nel brand Spotify for Artists, una suite da 400mila utenti che consente agli artisti e ad altri addetti ai lavori dati, analisi e altro supporto. A quanto pare, integrando ora anche un canale distributivo che Spotify aveva provato a lanciare tempo fa con DistroKid, chiuso lo scorso luglio dopo una fase non particolarmente entusiasmante.
SoundBetter incrocia dunque musicisti e addetti ai lavori e lo scorso giugno ha lanciato un nuovo servizio, battezzato Tracks, dedicato proprio alla vendita dei diritti discografici in competizione con altri servizi come Epidemic Sound, che all’inizio di settembre ha chiuso un altro round di finanziamento toccando una valutazione di 370 milioni di dollari, o SoundCloud.
I perché della strategia
Dal suo punto di vista, Spotify intende in questo modo offrire qualcosa in più a chi fa musica: pur avendo ricevuto 13 miliardi di dollari di diritti d’autore, la stragrande maggioranza dei musicisti si aspetta di più. SoundBetter è un modo per fornirglielo e provare a guadagnare meglio con le proprie creazioni. Ma anche scaricare il peso del modello di business, almeno in parte e progressivamente, dallo streaming nudo e crudo. Che cresce, ma secondo l’ultima trimestrale un po’ meno delle attese. Lo scorso luglio, infatti, i conti hanno messo a nudo ricavi superiori alle attese ma mezzo milione di abbonati meno delle previsioni.
“Costruendo strumenti per i creatori vogliamo dare loro le risorse di cui hanno bisogno per crescere – ha spiegato Beckwith Kloss, vicepresidente per il prodotto e i creatori del gruppo – SoundBetter ha la stessa visione e siamo felici che i creatori possano aumentare i guadagni e arricchire il proprio network di professionisti ai massimi livelli per le proprie produzioni”. La community spazia infatti in 176 Paesi e 14mila città. La musica, si sa, non ha confini.