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Gestire efficacemente i contenuti sta diventando sempre più una priorità per i brand. Il cloud ci ha aiutato fino ad ora ma la mole di risorse digitali impone di guardare all’Intelligenza Artificiale. Cosa accadrà domani?
Molto spesso, quando ci riferiamo alla memoria, usiamo il termine archivio. I ricordi, infatti, emergono recuperando una serie di informazioni che sono loro associati. In un certo senso, quindi, la memoria funziona come un motore di ricerca, che estrae e ricostruisce i dati sulla base dei fattori legati alle situazioni.
Un po’ di amarcord
Risalgono agli anni ’40 le prime archiviazioni tecnologiche dei dati, a partire dalle schede perforate, passando poi nei decenni successivi ai nastri magnetici, ai floppy disk, ai CD-ROM, alle chiavette USB e avanti così fino a smaterializzarsi nel cloud. Dagli anni 2000 infatti, soppiantate le librerie “silos” e i file editor ospitati su server, hanno cominciato a comparire le prime soluzioni DAM (Digital Asset Management), ovvero di archiviazione di asset digitali basate sul web.
Nate inizialmente come archivi per i media e la stampa, si sono prestate sempre di più all’organizzazione dei contenuti dei grandi marchi, che avvertivano la necessità di gestire le enormi moli prodotte giornalmente. Quello che si voleva garantire era un facile accesso alle risorse aziendali, centralizzate in un unico hub. Ma archivi non taggati comportano una scarsa ricercabilità, spreco di risorse (se non trovi i contenuti ti tocca rifarli!) e difficoltà legate all’uso stesso. Senza i diritti di gestione dell’originale, ad esempio, la concessione dell’immagine ad altri media, punti di vendita etc. si fa più ostica.
L’importanza di taggare
Ecco che arriviamo all’urgenza di descrivere ogni singola risorsa: è un lavoro che si fa manualmente, lungo, ripetitivo, oneroso. Spesso viene affidato a professionalità poco qualificate (stagisti?) ma è un compito di importanza fondamentale: gli errori umani nel taggare possono avere conseguenze non da poco. Pensiamo alla distribuzione di un contenuto il cui argomento/soggetto è tutt’altro: se ti va bene a farci una magra figura è la brand identity, visto che la comunicazione del marchio appare sciatta e poco curata, se ti va male possono arrivare anche multe o citazioni giudiziarie per uso improprio.
C’è da dire che nel frattempo il DAM si è evoluto: da semplice archivio di file è diventato parte integrante dello stack Martech (Marketing + Technology), unica “fonte di verità” da legare ai processi di creazione dei contenuti e con cui alimentare tutte le piattaforme e i canali (sito web, e-commerce, Marketing automation, social media ecc).
Ok, ma cosa è cambiato? Semplice, è intervenuta l’Intelligenza Artificiale. Nello specifico il Machine Learning, gli algoritmi hanno cominciato ad imparare dai dati. Questo vuol dire che, grazie a tecniche avanzate di analisi semantica che estraggono dagli asset gli argomenti trattati e di image recognition che evidenziano dei pattern sulla presenza di determinati oggetti, la tecnologia AI riesce a scansionare l’archivio digitale costituito dal DAM e a creare automaticamente i corrispondenti metadati (tag).
Ma quali saranno le future tendenze del DAM?
1) Migliore comprensione delle risorse e degli utenti
Con un DAM che automatizza la necessità manuale di etichettare gli asset digitali, sarà possibile per le aziende trovare più velocemente ciò di cui hanno bisogno, risparmiando tempo e risorse. Non dimentichiamo inoltre che, grazie a questa migliore comprensione delle risorse, gli algoritmi riescono a tracciare il comportamento che gli utenti manifestano nei loro confronti. È l’humus ideale dove attecchisce la Content Intelligence, ovvero la strategia data-driven di ricavare insight sugli interessi degli utenti dalla fruizione che fanno dei contenuti.
2) Automazione
Gli algoritmi di apprendimento automatico del DAM impareranno sempre di più dai dati e dai modelli di utilizzo su cui hanno occasione di “lavorare” per cui saranno in grado di estrarre autonomamente le risorse più appropriate per ogni utente, prevedendone le esigenze in base ai comportamenti passati e agli insight raccolti dalla Content Intelligence. Oltre a benefici in termini di produttività e costi, se ne trarranno anche in termini di riscontro, con potenziali clienti più soddisfatti e inclini ad aderire al servizio/prodotto del brand.
3) Abbattimento dei costi di gestione IT grazie al cloud
Un DAM cloud-based evita gli sprechi perché consente alle aziende di adottare modelli pay-per-use, pagando per il consumo effettivo senza dover essere responsabile dell’hosting. Vi è maggiore sicurezza rispetto a piattaforme come Dropbox o simili: vengono infatti garantiti gli standard di conformità perché gli asset sono controllati in workflow condivisi e sono accessibili e modificabili solo da chi ne ha l’autorizzazione.
4) Gestione dei metadati più efficiente
L’AI arriverà a suggerire automaticamente le opzioni per i metadati da applicare ai contenuti, aumentando sempre di più il livello di dettaglio per il recupero degli stessi e le associazioni interne.
Il futuro è già qui
Senza dover attendere soluzioni avveniristiche, tra i 20 migliori DAM al mondo segnalati da Forrester c’è THRON, un Saas DAM dotato di un’elastica architettura cloud, che già sa dare una risposta a queste esigenze. Questo grazie ai suoi motori AI che classificano automaticamente i contenuti e il cui training viene sempre più perfezionato (scopri come in questo webinar). Essi consentono quindi l’applicazione della Content Intelligence su tutti gli asset, individuando in tempo reale le preferenze degli utenti.
Con questi dati, che vanno a completare il profilo CRM, il motore raccomandativo ne esce potenziato e la scelta del contenuto giusto da proporre ad ogni utente si fa automatica.